13 Feb Y olé! di José Montalvo, "tanti stili un unico andamento"
Ad apertura di sipario, quello del Teatro Politeama gremito per due giorni consecutivi, il primo quadro del nuovo spettacolo di José Montalvo Y olé! prometteva molto bene. Grande energia, sicurezza nell’esecuzione, coinvolgimento emotivo, forte impatto visivo in un groviglio di movimenti danzati egregiamente, con acrobazie che sfidavano la legge di gravità, e il meglio del flamenco mondiale, con il suo ritmo pazzesco e avvolgente. Il tutto all’insegna di una velocità abbagliante. Sullo sfondo articolate sequenze video, in una lenta e continua trasformazione. Come la vita.
Diviso in due parti, lo spettacolo Y olé! ultima creazione del sessantaduenne regista, coreografo e scenografo francese, avrebbe dovuto “giocare con le classificazioni delle culture alte e popolari senza fonderle né confonderle”. Il problema è che a questa divisione musicale non si è sovrapposta una diversità coreografica, visiva, strutturale. Al di là della bravura straordinaria degli interpreti: ballerini, cantanti, acrobati, qualcosa non ha funzionato. Il movimento continuo, a tratti ripetitivo, ipercinetico, avrebbe forse dovuto lasciar spazio a momenti più intimistici o semplicemente diversi, più fantasiosi. Come suggeriva la scelta di artisti, differenti per altezza, corporatura, formazione, tecnica e stile.
La musica, quella della Sagra della primavera di Stravinsky – dalla forza prorompente – farebbe risuscitare un morto, piena com’è di accenti, di richiami e certamente anche di evocazioni lontane che vanno dritte dritte ad uno dei personaggi più geniali della storia della danza: Vaslav Nijinsky che nel 1913 a Parigi ne firmò una coreografia audace e rivoluzionaria.
Attraverso la sua lettura personale della Sagra, Montalvo – figlio di rifugiati politici in Francia durante il regime franchista – ha inteso celebrare il fascino della vita, con le sue molteplici espressioni. Una festa di primavera spensierata, senza alcun sacrificio di una giovane vergine, in cui si mischiano elementi contemporanei con l’hip-hop, la danza africana, il ritmo incalzante e frenetico dello “zapateado”, vissuto in modo molto moderno e innovativo e di cui abbiamo subito il fascino in un’ora e dieci di rappresentazione. Man mano che l’azione si dipana, le piccole radici di un albero, disegnate sullo sfondo, diventano sempre più profonde, folte, robuste, invadenti nello spazio scenico.
La seconda sezione dello spettacolo – prodotto dal Théâtre National de Chaillot in coproduzione con Les Théâtres de la Ville de Luxembourg – nella quale svetta la musica di Louis Armstrong, è un melting pot di canzoni tradizionali dell’infanzia di José Montalvo, dove hanno il loro posto ben preciso anche temi anglosassoni dell’adolescenza ed è dedicata ai suoi padri spirituali (tra i tanti Merce Cunningham e Pina Bausch). E allora l’altra grande immagine video è un orizzonte marino che poi diventa spiaggia, mare, presenza, lontananza, assenza, in una piccola /grande barca che simula il viaggio, lo spostamento continuo. C’è chi va, chi torna, chi scappa, chi soffre, chi si diverte. Difficile non legare questa seconda parte dello spettacolo agli eventi di cronaca quotidiana in un mare che ogni giorno restituisce una vita o la nega per sempre. Anche qui, però, l’azione scenica si nutre degli stessi elementi coreografico-registici creando un unico andamento, senza soluzione di continuità.
Tantissimi gli applausi finali per una compagnia giovane e piena di talento che ha dato il meglio della propria arte.
Elisabetta Testa
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