Stéphane Fournial: “Napoli è il futuro della danza”

Parla senza sosta in equilibrio tra passato, presente e futuro. Combattivo ed instancabile alla guida della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo – la più antica d’Italia (1812) e tra le prime in Europa – Stéphane Fournial (nella foto di Cristiano Castaldi) non si ferma ed analizza, con la schiettezza che lo contraddistingue, quanto ha costruito in un anno e otto mesi di direzione. Il tempo, si sa, è elastico e a pochi giorni dallo spettacolo di fine anno, sabato 24 giugno alle 20.30, proviamo a fare un bilancio del suo operato.

Maestro che cosa è cambiato dal suo arrivo a Napoli?

Ho un contratto triennale e come dico sempre è un tempo giusto per realizzare qualcosa. Tra i tanti cambiamenti, quello relativo all’organizzazione della scuola è sicuramente predominante. Intendo la comunicazione – la velocità con cui diamo informazioni ai genitori era una delle priorità perché il funzionamento della scuola passa attraverso una rete tra allievi, genitori e docenti – e poi ho dovuto prendere atto di tutto il materiale a disposizione: allievi, corsi, preparazione e soprattutto i programmi di studio.

Il mio intento era quello di cercare di fare di questa accademia, fondata nel 1812, un punto di riferimento. Una scuola come la nostra, che ha la fortuna di stare all’interno del teatro più bello del mondo, come lo definisce l’Unesco, deve essere riconosciuta a livello internazionale. Ho eliminato molte materie complementari, perché secondo me la priorità è quella di formare ballerini classici con canoni fisici e tecnici elevati. La Scuola di Ballo del Teatro San Carlo deve assolutamente collocarsi al vertice, come merita. Il resto non mi interessa. Per alzare il livello qualitativo ho dovuto modificare, soprattutto a partire da quest’anno, il programma didattico che ho riscritto basandomi non sul metodo francese, russo o italiano in particolare.

La storia del balletto comincia da Luigi XIV, a cui piaceva danzare, alla sua corte c’erano tantissimi maestri italiani, molti dei quali andarono poi in Russia. Dunque la scuola italiana, francese e russa hanno scritto la storia della danza. Se si è dispersivi, e secondo me oggi le grandi accademie lo sono, si perde tempo. I ragazzi hanno la scuola dell’obbligo e quindi più di un certo numero di ore non possono stare in teatro, un’ora e mezzo di classe al giorno – come era quando sono arrivato al San Carlo – è troppo poco … poi moderno, carattere, flamenco…si perde l’obiettivo principale che è la danza classica e che ha bisogno di ore e ore di pratica.

Per rinforzare la loro tecnica faccio studiare i ragazzi più deboli con i corsi precedenti a quello che frequentano, così potenziano il lavoro. D’altra parte anche i concertisti, il giorno dopo lo spettacolo studiano ricominciando dalle scale. La danza è uguale, per fare trentadue fouettés in scena devi saperne fare sessantaquattro in sala prove e ripeterli due-tre volte ogni giorno. Con l’aiuto delle insegnanti, che devo dire mi sono molto vicine, abbiamo cercato di creare un team. Lo dico sempre, puoi essere il migliore del mondo ma se non hai intorno a te persone competenti e motivate nel loro lavoro non ottieni niente.

All’interno della scuola ho trovato una mentalità sbagliata, sono tutte étoiles o primi ballerini…no, prima devi fare il corpo di ballo. Lo studio dei balletti di repertorio è fondamentale, ti insegna a stare in fila, a far parte di un gruppo, a lavorare sull’insieme. Il diploma serve a poco, se piaci o non piaci ad un direttore di compagnia non è perché hai un diploma ma perché sai ballare. Quando termini un percorso di formazione ed entri in una compagnia non mi risulta che ti prendano come étoile…parti di solito dalle file del corpo di ballo, anche in casi rari di giovani talenti, un po’ di gavetta si fa sempre.

In poco tempo sono riuscito ad avere dei risultati (nel recente flash-mob di Alice hanno disegnato un cuore senza l’aiuto di scotch in uno spazio enorme), io non so niente, continuo sempre a dire che non ho il verbo giusto ma quel poco che so sull’insegnamento o sul percorso per formare un allievo è perché ho avuto dei grandi maestri che ormai non ci sono più, e ho studiato il metodo francese e quello russo, con molti elementi del metodo Cecchetti. Se dobbiamo portare avanti un’accademia di danza classica mi chiedo come si possano studiare anche moderno, flamenco, e tutte le altre discipline che chiaramente vanno studiate ma con una costruzione logica! Su tutti i programmi che ho sviluppato, quello della propedeutica è pazzesco, ed è l’unico sviluppato al 75% del vero percorso che sicuramente l’anno prossimo riusciremo a compiere. Tutti gli altri corsi sono stati potenziati ma non nella percentuale della propedeutica…avrei fatto andare in tilt la scuola…A settembre tutti i corsi andranno avanti al 100% e sicuramente ci sarà un enorme cambiamento. Se guardo dal di fuori la Scuola di Ballo, vedo una enorme differenza tra quello che facevano prima e quello che fanno oggi. C’è un progresso significativo, chiaramente come direttore non mi basta, voglio molto di più e più velocemente, il tempo passa in fretta, perdere un anno non è costruttivo.

Lo spettacolo di fine anno riprenderà, in maniera molto più ampliata e approfondita, lo schema dell’anno scorso. Non critico le scuole private e non voglio sminuire il lavoro altrui ma la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo ha un nome e una reputazione da difendere e sostenere, voglio portarla ad un livello internazionale.  Purtroppo ora non è così, la gente preferisce ancora altre situazioni, ma nelle ultime audizioni moltissimi ragazzi sono venuti dal nord Italia e questo non era mai successo prima! Naturalmente si sono presentati anche pugliesi o siciliani, ma la sorpresa è che ho avuto anche richieste dal Giappone. Senza fare troppa pubblicità, evidentemente qualcosa sta succedendo. Si sta spargendo la voce che io punto solo sul classico e sto potenziando il lavoro con cinque-sei ore al giorno di lezione (due lezioni di tecnica e una di repertorio). Facendo così stiamo cominciando a preparare dei ragazzi per fare, forse, questo mestiere. Quello che studiano in sala diventa poi spettacolo, c’è un metodo che dà i suoi risultati e questi risultati non vengono dalle doti ma dall’intelligenza, dal lavoro.

È importante far capire agli allievi cosa stiano facendo, ogni minimo gesto ha la sua importanza. Quest’anno ho deciso di continuare il percorso del repertorio, per cui presenteremo il secondo atto de Il lago dei cigni e qualche brano da La Bayadère e Paquita. Sono consapevole di aver spinto molto ma ho voluto provare e così abbiamo inserito ragazze dal quarto all’ottavo corso. La mia non è una critica ma la scuola deve avere un marchio omogeneo, io cerco di darle un’identità, quando sono arrivato a Napoli questa identità non c’era…da sempre la danza è uno scambio culturale tra Italia, Francia e Russia, che sono le tre vere scuole.

Ora è cambiata la forma mentis degli allievi, tutti si sentono coinvolti, stando sempre in scena. Non sono mai soddisfatto ma sto cercando di fare qualcosa che so che può dare buoni frutti. Ho una visione della scuola che supererebbe due, tre, quattro mandati della mia direzione.

Che cosa è stato difficile?

Le difficoltà ci sono sempre, tutto è complicato in generale, non solo in teatro. La scuola è formata dagli allievi, ho avuto problemi di disciplina, di poca concentrazione, di ragazzi che non erano assidui. Ho messo un punto, ogni volta che qualcuno manca ho chiesto di avere una mail, ho la responsabilità di controllare anche tutti i ragazzini che vivono a Napoli da soli, senza genitori, perché sono di altre città. Ho organizzato la possibilità di un convitto che potesse ospitarli, con un servizio di navetta per facilitare gli spostamenti.

Che cosa guarda in un allievo, che cosa la colpisce?

La bellezza non è tutto, ci vuole l’anima, un corpo che respira il movimento e poi la musicalità, che è fondamentale. Vorrei avere la perfezione ma non esiste! Ho due/ tre allieve che fanno ben sperare…

Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?

Mi piace la bella danza, fatta col cuore e con l’anima. Non mi piace… tutto! Vorrei che la gente fosse molto più umile, discreta.

Senza pensarci troppo, mi dice tre aggettivi nei quali si riconosce?

Perfezionista, determinato ed eccessivamente sincero.

Progetti per il futuro?

Non lo so, mi piace quello che sto facendo, altrimenti non lo farei…potrei continuare questo percorso o dedicarmi ad altro, potrei dirigere un corpo di ballo o tornare a dipingere.

Un augurio per la scuola?

La gente continua a dire: “Milano, Roma, Napoli”. Ma lo dice in ordine geografico? Napoli è il futuro della danza.

Elisabetta Testa

 

 

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