Sergej Djagilev,fondatore dei Ballets Russes

Nato il 31 marzo 1872, è stato il massimo rinnovatore del balletto del Novecento. Alto, seducente, una mèche bianca sulla capigliatura corvina, elegante e affezionatissimo al suo monocolo, di carattere irruente ma capace di grandi e sincere amicizie, la sola regola che sembrava guidarlo fu quella di sacrificare tutto a ciò che appariva alla sua intelligenza bello e artistico.

Giovanissimo, scriveva a sua nonna: “Sono un ciarlatano pieno di brio, un grande incantatore, un insolente, un uomo in possesso di molta logica e pochi scrupoli, un essere afflitto da assenza totale di talento.”

In realtà di talento ne ebbe da vendere. Dopo studi di diritto, Djagilev fu attratto dal mondo dell’arte legandosi a giovani artisti, destinati a grande fama, da Alexandre Benois a Léon Bakst, con i quali fondò la rivista Mir Iskusstva (Il mondo dell’arte).

Scritturato dai Teatri Imperiali come funzionario, si rivelò un brillante allestitore di opere.

Tra il 1904 e il 1908 allestì un gran numero di spettacoli non solo in Russia ma anche a Parigi, ed è proprio all’Opéra che debuttò come impresario.

Di ritorno dalla Russia, riunì un gruppo di danzatori scelti fra i migliori talenti del tempo e si presentò al Théâtre du Châtelet di Parigi il 9 maggio 1909 con un trittico di balletti. Fu un trionfo.

Un trionfo che dette il via alla felicissima avventura dei Ballets Russes.

Spirito curioso, inquieto, impaziente di rivelare le tendenze dell’avanguardia nonché i talenti in erba, Djagilev temeva di ripetersi e pian piano iniziò a distaccarsi dalla sua primitiva ispirazione, strettamente russa. Cosa che lo portò a separarsi dai suoi primi collaboratori, Mikhail Fokin compreso. Certe discordie furono però accentuate anche dal suo carattere duro ed eccessivo.

Fu il caso del beniamino Vaslav Nižinskij nel momento in cui questi sposò Romola de Pulszky, ma anche il caso di Igor Stravinsky, considerato da Djagilev suo figlio spirituale.

Dopo un’epoca splendida e di grande euforia, conobbe momenti difficili durante la guerra soprattutto quando, con una parte della sua compagnia, si trovò in America. Questo fino al 1919, quando le stagioni dei Ballets Russes ripresero regolarmente anche se forse vennero seguite dal pubblico con minore interesse.

Le numerose tournée, il bisogno costante di rinnovarsi, le fughe e i dissidi con alcuni vecchi amici nonché uno snobismo che si rivoltava contro lui stesso, finirono con lo sfiancare un temperamento dinamico e generoso quale il suo.

Accanito bibliofilo, questa passione finì con l’averla vinta su quella del grande e audace direttore di compagnia. Alla fine della stagione londinese del 1929 si ritirò a Venezia dove fu stroncato da un attacco di diabete.

 

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