14 Gen Pia Russo:”Il maestro non deve insegnare solo dei passi, deve formare dei corpi e delle personalità”
Vibrante, curiosa della vita, ha attraversato il mondo della danza in lungo e in largo, da ballerina a maestra, da creatrice di progetti a direttrice di compagnia e tanto altro fino al ruolo di docente di tecnica classica alla Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, diretta da Stéphane Fournial. Pia Russo, nata a Napoli da una famiglia non napoletana, ha iniziato a studiare danza nella scuola di Carmi Lo Forte prima di partire alla conquista del mondo, dall’Inghilterra all’America, alla Spagna per poi tornare in Italia dove si dedica con passione ed impegno costante alla formazione dei giovani allievi.
Com’è entrata la danza nella sua vita?
Mi piaceva molto ma non era nelle mie intenzioni diventare una ballerina, volevo laurearmi in agraria. La mia famiglia si è trasferita a Roma e lì pian piano la mia passione per la danza è cresciuta. La mia professoressa di lettere del Liceo Visconti un giorno ci fece mettere in scena una novella di Boccaccio, mi disse:”Tu hai talento teatrale”…era una donna pazzesca, di grande cultura, aveva brevettato la pila atomica di Fermi, all’epoca decisi di investire nel mio futuro col linguaggio che stavo apprendendo, quello della danza. Avevo visto già tanti balletti, il primo, al Teatro San Carlo, fu Romeo e Giulietta con Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn… avevo sei anni ed ero sprofondata in una poltrona della platea. Mio padre era un grande appassionato, un cultore della danza, aveva visto tutti i balletti russi, finita la Guerra Fredda mi portò anche a Roma a vedere Spartacus. Sono andata a studiare prima in Inghilterra e poi a Reggio Emilia, nella scuola di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu dove il mio insegnante principale è stato Gabriel Popescu.
Che cosa è stato difficile nel suo percorso?
Tante cose. Il mio avvicinamento alla danza non è stato tradizionale, ho finito di studiare un po’ tardi rispetto alla media, dunque è stato più complicato inserirmi nel mondo del lavoro. La difficoltà ha rappresentato il mio punto di forza perché sono arrivata alla danza con un approccio culturale che altrimenti non avrei avuto. Ho lavorato a Reggio Emilia con la compagnia Cosi-Stefanescu, poi a Roma e in seguito ho fondato una mia compagnia a Rovigo, una follia…ho avuto tra i direttori Gheorghe Iancu e Roberth North, abbiamo avuto ospiti tanti maestri e coreografi. E’ stata un po’ una sperimentazione perché avevamo un’associazione che gestiva la danza lavorando con la città, la provincia e la regione. Un progetto innovativo sotto molti punti di vista. Quando ho smesso di ballare ho cominciato a lavorare all’Arena di Verona come maestra e poi all’ Opera di Roma e al Massimo di Palermo a cui si sono aggiunti il Balletto del Sud, il Balletto di Milano e il Balletto di Roma. Ho insegnato anche danza di carattere… Per un caso fortuito ho incontrato Marcello Angelini che mi ha chiesto di andare a Tulsa (in America) a dirigere la scuola di ballo, impegno che ho svolto per quattro anni.
Che cosa la colpisce in un danzatore?
La personalità, il temperamento e la fluidità del movimento. Come docente mi interessa il materiale umano a tutto tondo, dal punto di vista fisico e psicologico, e anche come il ballerino può essere o meno malleabile. Bisogna stare molto attenti, si hanno tra le mani ragazzi in fase di crescita, è una grande responsabilità. Hanno diritto al rispetto e anche alla durezza, quando ci vuole, ma mai al disconoscimento della loro autostima che non va distrutta. Sono affascinata dal materiale umano che posso plasmare, ci sono persone che ti stimolano di più e altre che hanno tempi più lenti, nel qual caso bisogna saper aspettare.
Da quest’anno insegna alla Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, è felice di questa nuova opportunità?
Sono molto contenta del mio lavoro qui in teatro e ringrazio tantissimo Stéphane Fournial per avermi voluto. La disciplina mi piace ma se diventa appiattimento della personalità preferisco un allievo un po’ meno disciplinato…io ero una ribelle. Ovviamente non ho parlato di maleducazione, le regole vanno rispettate, però un pizzico di follia ci vuole. Bisognerebbe insegnare l’autodisciplina, che è una cosa diversa…Quando insegni il tuo scopo è trasmettere tutto ciò che hai imparato, filtrato attraverso la tua personalità ma anche non farne le tue brutte copie, rendendo gli allievi autonomi. Il vero insegnante – non soltanto nel mondo della danza – è colui che rende il proprio allievo indipendente perché gli dà gli strumenti per imparare e andare alla conquista del mondo, dovrebbe essere così…
È necessaria l’umiltà?
Sì, ma non bisogna mostrarla. Quando penso all’umiltà penso a quella falsa di Don Abbondio (ne I Promessi Sposi). Se l’umiltà è conoscenza dei propri limiti va benissimo, se però è prostrarsi in maniera falsa senza prendere posizioni, mi dà fastidio. Preferisco le persone con cui mi scontro a quelle che mi dicono sempre di sì.
Che cosa la emoziona nella danza?
Quando non vedo la danza! Nel senso che se vado a vedere uno spettacolo e comincio a notare il dettaglio, cosa che sono abituata a fare per mestiere, significa che qualcosa non va. Se invece sono trasportata dalle emozioni così tanto da non notare tutto il resto, mi piace tantissimo perché riesco ad avere l’occhio di uno spettatore distaccato.
Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?
Tutto quello che non sopporto nella vita normale… Sono una persona che prende delle posizioni, a vent’anni avrei smosso il mondo per una minima cosa, ora è tutto dejà vu.
Com’è Pia Russo?
Non lo so come sono… forse intendeva come vorrei essere vista dagli altri? Come una persona che pensa con la sua testa in ogni situazione. Analizzo le situazioni prima di esprimere un giudizio, mi piacerebbe essere considerata come una persona non omologabile negli schemi preordinati. Di volta in volta valuto, mi piace essere indipendente.
Che cosa è cambiato nella danza, in questi ultimi anni?
Il fatto che siamo soggetti ad un mercato. Come si fa a conciliare un mercato con l’arte? Non ho una risposta…quello che so è che il mercato ci ha fatto abbassare il livello perché cerca la quantità e non la qualità. Prima forse c’era più qualità non soltanto tra ballerini ma anche per quanto riguarda il pubblico, ma questo è un problema mondiale, non riguarda solo l’Italia. In America il mercato è molto più strutturato, più serio, c’è un’organizzazione del lavoro che qui non esiste. Alla fine la filosofia è la stessa, è solo tutto più organizzato.
Che tipo di metodo insegna?
Ho studiato il metodo russo di Agrippina Vaganova, sia col maestro Popescu che al corso del Teatro alla Scala con Annamaria Prina, Margarita Smirnova e Bella Račinskaja, insegnanti di grande spessore. Se guardi le lezioni di cinquant’anni fa e quelle di adesso c’è un abisso, non è cambiato l’esercizio in sé ma la fisicità dei ballerini. I metodi non sono delle scatole chiuse, un tempo lo erano…penso alla Russia prima della perestroika, dopo la caduta del muro di Berlino la Russia si è aperta al mondo. La danza non cambia perché io la trasformo entrando in una sala. Non c’è contaminazione tra i metodi, quando insegni danza insegni un linguaggio, e le lingue sono organismi viventi che mutano, quindi il linguaggio della danza muta nel tempo, non perché io insegno il tendu alla bambina in un modo piuttosto che in un altro ma perché tutte le mie esperienze di lavoro (fatte con i tanti maestri) si accumulano nella mia esperienza che diventa ricca di informazioni. Il corpo assorbe tutto.
Che cosa non può mancare ad un bambino che inizia lo studio della danza?
La determinazione.
Sogni, progetti futuri?
Non sono mai ferma. Ho costruito molto di più di quel che pensavo di fare, potrei starmene tranquilla invece sono sempre alla ricerca di qualcosa…non so cosa… ma non mi fermo. Vivo alla giornata, non ho nessun vincolo. Niente è stato facile, nulla mi è stato regalato, ho lavorato tanto. Ringrazio sempre le persone che sono state cattive con me, perché sono quelle che mi hanno fatto reagire, non mi sono data per sconfitta…e non per dimostrare qualcosa a qualcuno ma a me stessa, gli altri pensino quello che vogliono anche se a tutti piace l’approvazione…
Che cos’è la danza per lei?
La mia vita, le ho dedicato tutta la mia esistenza. Ho avuto anche una mia vita privata ma la danza è sicuramente una grande passione. Se penso ai diversi ruoli avuti, quello che mi stimola di più è quello dell’insegnante, mi interrogo continuamente, cerco di comunicare quanto più possibile. Il maestro non deve insegnare solo dei passi, deve formare dei corpi e delle personalità. Gli allievi devono avere la luce negli occhi e tocca a noi aiutarli a tirarla fuori.
Elisabetta Testa
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