"Lettere a un giovane danzatore" di Maurice Béjart

Il bambino si diverte, salta, danza e si butta a capofitto in tutto quello che il movimento gli ispira.

La grande ballerina, dopo dieci anni di sforzi giornalieri, esegue dei passi e delle figure straordinarie per la loro bellezza e la perfetta esecuzione.

La vera ballerina, dopo dieci anni e più di sforzi giornalieri, dimentica la tecnica (cosa che tuttavia non fa il suo corpo) e si diverte, salta, danza e si butta a capofitto in tutto quello che il movimento le ispira, proprio come il bambino!

L’apprendimento non è che lo stadio intermedio, eppure indispensabile.

Picasso diceva : “ Io non cerco, trovo”. Aveva ragione.

Si può anche pensare il contrario, poco importa quello che si trova (se si trova), la ricerca è già di per sé un obiettivo.

Due opinioni contraddittorie? Ma se non si ammettono entrambe in modo uguale, si cade in errore. La verità ha una doppia faccia, come Giano.

L’importanza di vedere la verità della contraddizione. Appena penso una cosa, mi accorgo che anche il contrario è vero.

Cerco, trovo, trovo che devo cercare, allora ricerco…e credo di nuovo di trovare…che bisogna di nuovo cercare.

Il ballerino, tu mi auguro, deve avere un mestiere e un istinto, mescolanza strana di disciplina e di libertà.

Nel corso della rappresentazione, deve dare al pubblico l’impressione d’improvvisare e di inventare la coreografia; è a questa sola condizione che è interessante.

Se fa credere di compiere dei movimenti liberi e completamente suoi, le persone ne sono rapite.

Per arrivare a questo punto, bisogna anche ch’egli abbia completamente assimilato la coreografia, che l’abbia ripensata da cima a fondo, che l’abbia ricreata, rivestita e che ne possieda al contempo una padronanza tecnica e una percezione intellettuale completa.

L’attore si trova di fronte alla stessa situazione: quando è in scena, dà una risposta, che sembra del tutto personale, a una domanda posta da un altro attore, ma se dà l’impressione d’inventare la risposta, allora il pubblico è coinvolto. Se si vede che recita una lezione, questo non interessa più a nessuno: ogni volta che un ballerino ha imparato una coreografia e la esegue, la vibrazione è come perduta, il pubblico si annoia.

Dovrai inventare senza sosta le danze che un altro immagina di avere composto per te. E’ la TUA danza!

Bis repetita placent

E’ quello che diceva al corso di latino – avevo undici anni – il mio professore di lettere. Anch’io ripeterò per te un testo che ho scritto molti anni fa per un altro ‘giovane ballerino’, Jorge Donn:

Osserva questo pezzo di legno che hai appena lasciato: la sbarra.

La sbarra è tutto, ma smettila di considerarla come uno strumento o un punto d’appoggio.

La sbarra è viva.

La sbarra ti conosce.

La sbarra ti osserva.

Ha bisogno di molto amore.

Quando, ogni mattina, vieni a fare la tua lezione, arriva molto presto, prima di tutti gli altri. Per essere solo nella sala di danza. E prima di tutto, entrando, saluta la sbarra. Vedi, così…una grande riverenza, un sorriso e :“Buongiorno, bella!” Dopodiché, avvicinati a lei, delicatamente. Accarezzala come un cavallo da corsa un po’ selvaggio. Una carezza. Molto riguardo e non poca tenerezza. Poi, quando la impugni per lavorare, non la stringere troppo, potresti farle male.

Posa la mano su di lei. Tranquillo. Che questo contatto sia un’unione tra lei e te. Che attraverso questo contatto vi penetriate l’un l’altro.

Ma, soprattutto, niente possessione.

Ami la sbarra, devi amarla perché lei ti ama, ma non ti appartiene. Così come tu sei libero, la sbarra non è la TUA sbarra.

E’ qui nella misura in cui sai onorarla, amarla. Poi, quando lasci la sala di danza, dille : “Arrivederci e grazie”.

Se stai in piedi è grazie a lei. La sbarra è la tua colonna vertebrale, non lo dimenticare mai.

Poi c’è un’altra persona ma questa persona è pericolosa.

E’ un falso amico. Tanto la sbarra è la tua sposa, quanto quest’altro è ingannevole.

Lo specchio.

Quando entri nella sala di danza, lo specchio ti si para davanti immediatamente. Si incolla a te, ti aspira, ti inghiotte, ti divora.

Sei felice, lo guardi. Dentro di lui, credi di vedere te stesso. Immagini questo specchio come un fratello gemello.

E’ un traditore.

Non avere nessuna considerazione per lui, non un solo sguardo. Tutto quello che ti racconta non è che menzogna. L’immagine di te che riflette è l’immagine più ingannevole, più erronea, più soggettiva. In questo specchio, vedi soltanto ciò che vuoi ben vedere.

E quello che vuoi vedere, non sei tu, mai, ma è quello che vorresti essere. Allora, davanti allo specchio, un sorriso ironico, un sorriso che tu conosci bene, e poi passa oltre.

Adesso, lì, al centro della fronte, un po’ sopra le sopracciglia, tra i due occhi, vedi, c’è un punto. Pigio lì, esattamente lì. Ebbene, qui tu hai uno specchio interiore, uno specchio dello spirito e del cuore. E’ questo che devi destare. E’ lì il lavoro. Sostituire a questo traditore ingannevole che ti attende, machiavellicamente, appeso

al muro per immergerti nel suo labirinto, dove ti perdi, sostituire a questo oggetto lo specchio veritiero, che è anch’esso un fatto mentale.

Attraverso questo specchio, potrai vedere. Guarda, sei lì alla sbarra, il tuo sguardo si spinge fino a questo punto, il più lontano possibile, dove si situa un orizzonte immaginario. Ma appena prima di questo orizzonte, un po’ oltre, c’è la proiezione del tuo specchio interiore, e lì ti vedi quale tu sei

Fai il tuo esercizio e guarda nello specchio della concentrazione, nel vero specchio.

Ti vedi.

Vedi esattamente ciascuno dei tuoi movimenti. E poi, soprattutto, puoi ruotare, e lo specchio ruota con te. Puoi allontanarti, e lo specchio resta con te.  In seguito, puoi  trovarti in scena con la sala gremita di pubblico, davanti a questo buco nero affascinante e terrificante, e lo specchio è lì, tranquillizzante, davanti a te.

Ti vedi mentalmente.

Ciascuno dei tuoi gesti è controllato. E, inoltre, questa visione non è esterna a te. Tu sei lo specchio.

In questa sala, che cosa vedi ancora?

Il pavimento.

Bisogna che tu l’ignori. Ma che tu lo ignori con grande astuzia, sapendo che derivi da esso; devi ignorarlo servendotene ampiamente.

Con il pavimento, attraverso il pavimento, contro il pavimento, sul pavimento, al di sopra del pavimento.

Danza.

Lo sfiori, lo lasci, lo premi, rimbalzi, ricadi, giochi con il pavimento come una palla. Non è il tuo corpo che si alza, è il pavimento che si sottrae e che ritorna docile sotto i tuoi piedi, esattamente come un cane riporta un bastone: lo lanci, il cane corre, va e ritorna, e lo posa ai tuoi piedi.

Vuoi saltare: il pavimento scompare, improvvisamente diviene molto profondo e, nell’istante in cui ne hai bisogno, ritorna di nuovo come un trampolino per darti lo schiaffo sotto la pianta dei piedi che ti permetterà di toccare le stelle.

Ecco la sbarra, lo specchio, il pavimento.

Puoi danzare.

Maurice Béjart

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