Kristian Cellini:”Un ballerino mi deve emozionare”

Schivo, determinato, tenace, quando parla del suo passato, della sua danza, è un fiume in piena. Ricordi, progetti, emozioni, si intersecano perfettamente con due elementi chiave: la sensibilità e l’entusiasmo. Danzatore, coreografo, direttore artistico, Kristian Cellini ha un lungo passato in televisione e in teatro che arricchisce la sua esperienza.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

Ho iniziato a undici anni, per una scommessa con mia sorella…io facevo arti marziali e lei danza. Un giorno andai a vedere una sua lezione e le dissi: “Che ci vuole a fare quello che fate?”. La scuola che frequentava, in Abruzzo, era diretta da Renato Greco e l’insegnante mi chiese di provare a fare una lezione. La settimana seguente ero in sala e tornando a casa decisi che volevo diventare un ballerino. Ho seguito tutto il percorso, ho vinto tante borse di studio, mi sono trasferito a Roma perché a Chieti – sono nato in un piccolo paesino della provincia – non c’erano grandi possibilità di studio e di lavoro. Mi sono diplomato nel 1989 col massimo dei voti, ho studiato danza classica, moderna, contemporanea, tip-tap, trucco teatrale…

Perché ha cominciato a creare coreografie e ad insegnare?

C’è un’età per tutto, bisogna essere maturi per affrontare i vari step. Ho ballato tanto, sia in televisione che in teatro…ad un certo punto hanno iniziato a chiedermi di creare delle coreografie, individuando in me un’attitudine particolare, e contemporaneamente ballare…diventava un po’ complicato. Non rimpiango niente di tutto quello che ho fatto, anzi! Arrivato a trentotto anni ho deciso di dedicarmi solo alla coreografia, all’inizio ho fatto un po’ di fatica e tuttora in Italia, se non sei protetto da qualcuno, è molto difficile andare avanti ma continuo per la mia strada con le persone che mi sono accanto: mia moglie, la mia famiglia, alcuni amici stretti. Il mio lavoro l’ho conquistato gradino per gradino e posso camminare a testa alta.

Che cosa è stato difficile nel suo percorso?

Allontanarmi dalla mia famiglia, a quattordici anni, ed essere catapultato nel giro di una settimana da un paesino di duemila abitanti ad una metropoli come Roma. Ho iniziato a parlare dopo quattro, cinque mesi…Stare lontano da casa equivale a vivere in un altro mondo, in una realtà diversa, ma sono sempre stato molto caparbio e se devo fare una cosa o la faccio bene o non la faccio proprio, per me non esistono vie di mezzo…il mio lavoro può piacere o non piacere, il gusto è soggettivo, ma io ci metto tutto il mio impegno. In ogni mio progetto c’è tanta fatica e questo per me è già una vittoria. In genere si è molto più apprezzati all’estero che non in Italia, non capisco il perché ma è così. Io amo il mio paese e sono fiero di essere italiano, il nostro è un popolo di artisti, l’arte fa parte del nostro DNA: i greci sono filosofi, i tedeschi e gli americani sono bombardieri, noi italiani siamo artisti. Il settanta per cento del patrimonio artistico mondiale è in Italia, penso a Raffaello, Giotto, Leonardo…peccato che non diamo spazio ed importanza ai nostri talenti. All’estero sono meritocratici, ti mettono alla prova, se vali va bene se non è quello che cercano ti pagano e ti rispettano comunque, in Italia è sempre una guerra… sono fortunato ad aver trovato a Peccioli, da un paio di anni a questa parte, un angolo di paradiso. La Fondazione Peccioli per l’Arte, in Toscana – capitanata da Irene Barbenzi e tutta una serie di assistenti e segretarie che lavorano in maniera impeccabile con il sindaco Renzo Macelloni – investe tantissimo sull’arte e in particolare anche sulla danza, sulla musica, sulla scuola di lettura…è una mosca bianca su un lenzuolo nero. A distanza di pochi anni il Festival, nel settore danza, è cresciuto tantissimo. Al di là degli ospiti illustri che vengono da tutto il mondo ho la possibilità di mettere in scena le mie creazioni. Mi sento libero.

Che cosa guarda in un danzatore?

La bellezza è la prima cosa che si nota ma poi un ballerino mi deve emozionare. Cerco di prendere sempre artisti molto diversi, ognuno aggiunge qualcosa nell’espressività. Quando vado in sala prove, entro con un’idea e la lavoro col ballerino ma c’è sempre uno scambio di energia.

Come nasce una sua creazione?

Spesso mi lascio trascinare dalla musica, altre volte dalla storia o da un’idea ma c’è sempre un’emozione. La coreografia non è pensare ai passi – la cui esecuzione è fine a se stessa – ma pensare alle luci, ai costumi a quello che vuoi far arrivare alle persone, è un lavoro complesso.

Che cosa non sopporta e che cosa le piace del mondo della danza?

Non mi piace che i ballerini non si concentrino prima di danzare, rispetto molto questo lavoro e vorrei trasmettere agli altri l’importanza della serietà, soprattutto prima di una esibizione. Lo scambio di energia in sala prove è bellissimo. Ho lavorato con Sergei Polunin e vederlo danzare una mia coreografia è un’emozione forte, se poi gli piace anche quello che creo vado letteralmente in estasi…

Che cosa è cambiato nel mondo della danza?

Ai miei tempi c’era un sana competizione, i ragazzi di oggi studiano danza perché è di moda. Io, quando non lavoravo continuavo a studiare per tenermi in forma, ora non è più così… i giovani vanno a studiare se lavorano…non c’è più la voglia e l’abnegazione che c’era prima…manca il sacro fuoco.

Che cosa la emoziona?

Tutto! Anche parlare con te.

Che cos’è l’umiltà?

Essere umile non vuol dire essere stupidi ma consapevole di quello che sei, lo devi dimostrare quando lavori. Qualsiasi tipo di lavoro si faccia con amore e con passione prima o poi vieni ripagato. Umiltà vuol dire essere sicuri di se stessi, agli sbruffoni manca qualcosa…è come quando ti arrabbi: se urli tutti ti sentono ma se ti arrabbi e parli a bassa voce sono tutti attenti ad ascoltarti.

E il talento?

Se hai talento ma non lo coltivi con lo studio non vai da nessuna parte. Di talenti ce ne sono tanti ma molti si perdono…

Qual è la cosa più difficile da insegnare?

Eh…la danza è già un insegnamento di vita, se sei educato in sala lo sarai anche fuori. L’insegnante non deve essere cattivo ma deve portare i propri allievi ad amare ciò che stanno facendo. Questo vale anche per l’elemento meno dotato. Ho avuto degli insegnanti terribili che mi facevano odiare la danza. Se un allievo paga per studiare con me significa che ha rispetto, vuole prendere qualcosa da me e io glielo devo dare.

Senza pensarci troppo mi dice tre aggettivi che la descrivono?

Sensibile…e poi mah, non lo so…vorrei che giudicassero gli altri…è difficile dirlo…sicuramente generoso e… quando scoppio divento pericoloso!!!

Nella sua carriera ha fatto tanto, ce l’ha un sogno, un progetto da realizzare?

Andare avanti con il Festival di Peccioli che spero si ingrandisca sempre di più ed entri nella storia della danza italiana anche quando non sarà più diretto da me… mi piace lavorare e vorrei stare più tempo possibile in sala prove a creare coreografie. Mi piace l’odore, o la puzza, del sudore dei ballerini in sala prove. Si crea dal niente, ogni lavoro è come un bambino che cresce…è un’emozione forte, un insieme di colori, come quelli che creo io quando dipingo, non li uso mai assoluti.

Che cos’è la danza per lei?

E’ l’arte più difficile e più bella che ci sia al mondo. I musicisti si avvalgono di uno strumento, i cantanti delle corde vocali, gli attori della parola, i ballerini del loro corpo per racchiudere tutto questo. E poi è l’arte più antica, nasce con l’uomo…ci sarà un perché. La danza è bellezza pura.

Elisabetta Testa

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