Dominique Mercy:" In un danzatore cerco autenticità ed onestà"

E’ stata una delle presenze più carismatiche del Tanztheater di Pina Bausch, interprete di capolavori come Café Müller e La Sagra della Primavera che hanno segnato la storia della danza mondiale. Affabile, inquieto, riservato e curioso della vita, Dominique Mercy ha tanto da raccontare e lo fa col beneficio del dubbio – quello dei grandi – lasciando spazio ogni volta a pensieri in continua evoluzione accompagnati da lunghe riflessioni e qualche silenzio, necessario per elaborare una risposta spontanea, sentita, vera.Da oltre quarant’anni fa riferimento al Tanztheater di Pina Bausch, che cosa rappresenta per lei questa longevità?È la parte più importante della mia vita, ho lavorato a lungo in quella compagnia. La vita è fatta di momenti di dubbio, di attesa, di speranza, di gioia, di dolore. Tutti questi anni sono passati in un attimo, senza che me ne accorgessi.Lei non ha mai cambiato idea, è rimasto sempre fedele alla sua compagnia, nel tempo?Sì, anche se per due volte ho lasciato la compagnia da danzatore stabile quale ero, poi sono tornato in qualità di ospite per interpretare alcune coreografie. Ho cominciato a danzare molto presto, avevo solo quindici anni, ho sempre avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto. Il mio maestro faceva lezione in un teatro, a Bordeaux, dove serviva un ballerino così ho fatto l’audizione e sono stato preso. Ho cominciato con la danza classica ma senza sapere dove/come/quando/con chi volevo andare avanti, ho iniziato la mia carriera. Ho conosciuto Pina per caso, ed è stato un incontro incredibile. Ho capito che quello che mi dava la compagnia in Francia non mi bastava più quindi ho deciso di accettare l’invito di Pina che mi aveva parlato del progetto di creare una sua compagnia. Avevo già deciso di lasciare Bordeaux quando mi è arrivata la lettera di Pina che mi invitava ad entrare nella sua compagnia di Wuppertal.Com’è stato l’incontro con lei?Naturale, semplice, bellissimo, mi ha dato la possibilità di essere me stesso sul palcoscenico. Abbiamo vissuto due stagioni teatrali incredibili con Ifigenia in Tauride e Orfeo in cui ho avuto dei ruoli fantastici però forse avevo bisogno di allontanarmi per capire meglio il lavoro di Pina. A venticinque anni, sentivo la necessità di vivere in una grande città, dove succedono tante cose, e di avere la libertà di decidere da chi andare a studiare. Volevo una vita piena, ricca, così ho deciso di lasciare la compagnia e di andare a Parigi dove ho cominciato a studiare con vari maestri, a fare spettacoli. Ho conosciuto Carolyn Carlson e anche questo è stato un incontro bellissimo in cui mi sono sentito a mio agio. Mi ha offerto di entrare nella sua compagnia ma dopo Wuppertal non volevo avere altri legami fissi. Poi insieme ad altri danzatori francesi che ho rincontrato, abbiamo fondato una piccola compagnia che abbiamo chiamato ‘La mano’, visto che eravamo in cinque. Abbiamo cominciato a fare spettacoli ma è stata dura…puoi immaginare a Parigi, a quell’epoca. Intanto anche Pina era venuta per la prima volta a Parigi al Théâtre de la Ville e io ero andato a vederla… è stata un’esperienza meravigliosa perché dal di fuori ho potuto capire e comprendere meglio quello che forse stando dentro non avevo ancora percepito. Sono tornato a Wuppertal per una stagione importantissima in cui c’era anche un progetto su Macbeth, e Pina aveva chiesto ad altri coreografi di creare qualcosa. Di ritorno da questo progetto, in due settimane è stato creato Café Müller. Dopo di ché ho avuto un momento di crisi, volevo andare via, capisco che sia un po’ incomprensibile avere la possibilità di fare Café Müller e contemporaneamente voler allontanarsi ma non so il perché… ho ritrovato Carolyn Carlson e ho fatto una nuova produzione con lei prima di comprendere che il posto dove mi sentivo veramente me stesso, e che per me aveva senso, era il lavoro con Pina. Finalmente l’avevo capito. La cosa straordinaria è che ogni volta Pina mi ha accolto a braccia aperte, mi ha sempre dimostrato la sua disponibilità.La danza di Pina Bausch è trasversale attira pittori, musicisti, registi…quali sono le caratteristiche della sua unicità?E’ sempre stato così. Non lo so, forse una in particolare che Pina ha sottolineato più volte tanto che è diventato una sorta di cliché: non il fatto che i suoi danzatori si muovessero ma ‘perché’ si muovessero. Lei era sensibile ad un danzatore particolare o con grande tecnica ma se non aveva una forte motivazione non ne era colpita più di tanto. Quello che le interessava di più era la personalità dell’essere umano. Parlava con noi dell’uomo, delle sue debolezze, della sua forza, nella sua totalità. Per lei non si trattava di mettere in scena una coreografia come un pezzo di teatro qualunque ma di provare a trovare il metodo più giusto per rappresentare qualcosa a fondo, una necessità di esprimere in quel preciso momento. Penso che questo faccia la differenza, la profondità è l’elemento che colpisce lo spettatore. Pina non ha mai imposto qualcosa a noi danzatori, c’era sempre la possibilità di discutere, di analizzare, di approfondire, di capire.Qual è il suo ricordo più bello, di tutti questi anni passati con Pina Bausch?È difficilissimo dirlo. Ho sempre paura di escluderne uno piuttosto che un altro…Che cosa la emoziona nella danza?Se lo sapessi…forse il fatto che sia un modo di avvicinarsi a se stesso…forse…non lo so…Che cosa cerca in un danzatore: idea, musicalità, senso del movimento, bellezza?L’autenticità e l’onestà. Poi tutte le altre cose, se ci sono.È più importante il corpo, con tutte le sue possibilità di espressione, o lo spazio che ci circonda?Non esiste l’uno senza l’altro.Lei ha avuto una grande responsabilità nei confronti della compagnia, dopo la morte di Pina Bausch…Direi troppe responsabilità…Infatti ho lasciato la compagnia, ne ero risucchiato tanto che stava diventando un rituale cannibalesco. Ho accettato l’incarico perché era giusto che fosse così ma veramente non è stato facile e per questo ho detto basta.C’è qualcosa che rimpiange di non aver potuto fare e che ora le manca?Ho la fortuna di aver avuto fino ad ora, nella danza, una vita abbastanza piena, ricca. Il mio sogno è sempre stato quello di mettermi davanti ad un pianoforte e cantare, ho provato a suonare il violoncello…ma mi sta ancora aspettando. Vengo da una formazione classica ovviamente, beh ovviamente non direi…ed è una forza che mi ha sempre sostenuto. Mi sarebbe piaciuto proseguire in quella direzione ma sto bene cosi, non devo piangere sulla mia sorte…je ne regrette rienCom’è cambiata la danza in questi ultimi anni?Non lo so. C’è gente come Pina che ha influenzato tantissimo un sacco di persone che ancora cercano qualcosa, con tutto quello che hanno visto, preso, imitato e va benissimo così. Forse quello che è cambiato, non so se in meglio o in peggio – può essere anche un po’ paradossale perché non vedo tutto quello che succede nel mondo – è che c’è una forma di libertà più grande. E proprio per questo c’è meno necessità. Naturalmente è più una sensazione che un giudizio.Le è mai capitato di avere paura?Sempre. La paura di deludere l’attesa, il dubbio di non essere all’altezza.Che persona è Dominique Mercy?Non lo so…mi piace ridere anche se non sono per forza ironico, delle volte sono un po’ fleur bleue (sentimentale-romantico-sognatore) e purtroppo posso chiudermi.Che cos’è la danza per lei?E stata la mia vita fino ad ora. E’ una forma di vita, penso.Elisabetta Testa

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