Alessia Gelmetti, "Arena di Verona: la situazione attuale è drammatica per tutti"

Da undici anni è prima ballerina all’Arena di Verona, forte di una carriera lunga e di tutto rispetto, Alessia Gelmetti (con Alessio Carbone nella foto di Stephen Martinez) fa il punto sulla situazione disperata in cui versa uno degli enti più rinomati non solo in Italia ma nel mondo. Ennesima pagina oscura della nostra cultura.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

Per caso, ho iniziato a quattro anni per seguire le mie amichette, ma dopo due anni ho smesso perché mi facevano perdere tempo ad imparare il saggio ed  io invece volevo fare danza! Poi però, ad otto anni, ho chiesto di ricominciare, e da lì non mi sono più fermata.

Quali sono state le difficoltà?

Una delle prime difficoltà che si incontrano è sicuramente il fatto che, se si vuole tentare di diventare professionisti, bisogna dedicare tutti i giorni alla danza anima e corpo, nel vero senso della parola, fin dalla giovane età. Ci si trova quindi ad affrontare tanti sacrifici in un’ età che invece prevederebbe più divertimento e meno responsabilità; diciamo che così si è obbligati a crescere più rapidamente.

Chi ha inciso di più nel suo percorso artistico?

Più di una persona direi, nelle varie tappe della mia vita di danzatrice ho incontrato maître de ballet, coreografi e colleghi che sono stati fondamentali per avermi dato insegnamenti che mi hanno fatto crescere e migliorare, e che sono tuttora parte del mio bagaglio personale.

Che cosa significa per lei l’Arena di Verona?

Pur essendo nata a Verona, sono capitata a lavorare all’Arena un po’ per caso, perché era qui che c’era la prima audizione subito dopo la chiusura del Balletto di Toscana, di cui io facevo parte (era il 2000, e il fatto che lasciarono chiudere la migliore compagnia d’Italia e una delle migliori al mondo, come veniva definita, fu il segno che la danza stava iniziando a morire, soprattutto nella volontà e nell’interesse di chi era ed è a capo di questo paese). Nonostante io mi sia ambientata molto lentamente, con gli anni direi, in quanto prima avevo lavorato in una realtà totalmente diversa sotto ogni aspetto, l’Arena di Verona è il posto in cui io ho la possibilità di esprimere la mia arte, é parte integrante della mia vita ormai da tempo.

Che cosa sta succedendo?

Dopo la chiusura in passivo del bilancio 2014 e la dichiarazione di un buco di 30 milioni di euro, dovuto anche alla riduzione dei contributi pubblici e privati oltre che alla diminuzione dei ricavi, il Consiglio di Indirizzo della Fondazione approva in sordina un piano industriale il cui scopo sarebbe quello di indirizzare il teatro in un percorso di miglioramento e risoluzione. Questo documento però, non prevede nessun elemento di rilancio, né dal punto di vista artistico né gestionale, ma presenta solo tagli, tanti, e si spazia ad esempio dalla diminuzione della programmazione alla chiusura dei laboratori. Tra i fattori di riduzione dei costi che riguardano il personale stabile e aggiunto (come la diminuzione dei periodi di assunzione, che comunque sono già ridotti al minimo al momento), c’è “l’esternalizzazione del corpo di ballo con l’uscita dei nove stabili” con lo stanziamento di un fondo rischi a cui attingere per le eventuali vertenze. Già da qui si evince che il licenziamento previsto per noi ballerini non sarebbe propriamente lecito… Bisogna anche far presente che questo processo di chiusura del corpo di ballo potrebbe essere ora velocizzato dal fatto che la Fondazione si trova ad affrontare numerose vertenze di lavoratori, tra cui tanti tersicorei, che denunciano negligenze contrattuali, e che potrebbero presto vedere trasformato il loro rapporto di lavoro con un contratto a tempo indeterminato. In questo modo il teatro si troverebbe a pagare alti indennizzi a tali lavoratori e, con l’aumento del numerico del personale stabile, si vedrebbe costretto a mantenere in vita un settore che invece, secondo i piani di questi ultimi anni, è stato volontariamente portato al declino, per poi poterlo condurre alla morte.

A questo drastico piano industriale si aggiunge poi la decisione da parte della dirigenza di disdire da gennaio il contratto integrativo, il che significa per i lavoratori un taglio del 30% dello stipendio.

Vogliamo comunque far presente come a Verona il costo del personale incida per il 51% sul totale dei costi del teatro, mentre la media nazionale è del 65%.

Se da un lato c’è la consapevolezza che la drammatica situazione attuale obbliga ad operare dei tagli, bisogna però notare che, come in tutti questi casi, i tagli previsti sono solo sul personale, ma non toccano minimamente la classe dirigenziale.

In ogni caso, ormai, c’è la tendenza a cercare di far funzionare i teatri come se fossero delle aziende, e si è perso il concetto che quando si parla di cultura non si dovrebbe parlare di spese ma piuttosto di investimento.

Di chi è la responsabilità?

Le responsabilità sono sicuramente varie, e di varie persone; in generale, la dirigenza in questi anni non è stata in grado di sfruttare le potenzialità di un teatro che, già solo per la sua particolarità, sarebbe in grado di eccellere e di competere con le fondazioni più importanti, e addirittura di poter camminare con le proprie gambe, di autogestirsi finanziariamente quasi. Basti pensare che, nonostante il calo della qualità delle produzioni e la diminuzione delle sovvenzioni l’Arena è, tra le fondazioni lirico sinfoniche, al secondo posto per entità di ricavi, dopo la Scala e prima dell’Opera di Roma.

L’Arena è un punto di riferimento della cultura eppure non è esente da problemi politici, economici, burocratici, organizzativi…

Chiaramente, soprattutto in un momento di difficoltà economica generale come quello che stiamo vivendo, anche l’Arena è sobillata dai problemi. Non neghiamo che, per esempio, la diminuzione del FUS e delle altre sovvenzioni vada ad incidere negativamente sulla gestione delle risorse a disposizione, e che la parte spettante all’Arena nella suddivisione prevista dai fondi statali non tenga effettivamente conto delle potenzialità del nostro teatro, ma lo metta alla pari di fondazioni minori. Siamo altresì consapevoli che, per far funzionare una “macchina” grande come l’Arena, ci sia bisogno di un sostegno economico superiore alla media, e che nel territorio intorno a Verona pochi siano coloro che aiutano con delle sponsorizzazioni, per non parlare degli albergatori e dei ristoratori della città che sembrano non considerare minimamente l’incidenza che ha la lirica nell’economia e nelle attività locali. Nonostante tutto questo però, bisogna ammettere che c’è una negligenza gestionale ed amministrativa che esula dal problema economico, che ha operato con strategie ed investimenti sbagliati, e che considera l’opera lirica come un peso e ormai sorpassata, preferendo dare spazio agli spettacoli del rock, più redditizi. E poi si sta gestendo il teatro con la convinzione che il personale stabile sia soltanto un costo, da sostituire piuttosto con lavoratori pagati “a prestazione”, al bisogno e per brevi periodi, o con cooperative esterne.

Come si sta difendendo il corpo di ballo?

Purtroppo non abbiamo tanti modi per difenderci da una ferrea volontà di chiudere il nostro settore. Considerato che all’apice delle dichiarazioni della dirigenza e del sindaco noi avevamo in programma degli spettacoli – il balletto “Schiaccianoci à la carte” e l’opera “La forza del destino” –  abbiamo pensato che l’unico modo per dare un segnale forte e di ribellione a ciò che stavamo subendo fosse lo sciopero. Decisione sofferta perché non è mai piacevole decidere di penalizzare il pubblico, e poi perché abbiamo dovuto rinunciare ad effettuare i già pochi spettacoli programmati per noi; ma non avevamo altri modi di reagire, anche per voler far capire al resto del teatro che la situazione attuale è drammatica per tutti.

Che cosa si può fare per aiutare la compagnia?

Parlare della nostra situazione attuale, dare voce ai nostri problemi e dissensi per portarli a chi non ne è a conoscenza, perché se tutto rimane circoscritto alle mura del nostro teatro, c’è un rischio maggiore che i piani previsti vengano attuati, in sordina. Credo che in generale, attraverso i media e la stampa, sia importante parlare dei corpi di ballo, di quello che fanno, del loro operato, ma soprattutto delle loro difficoltà, perché dovunque, in ogni teatro, vivono in netta inferiorità rispetto agli altri settori artistici, e troppo spesso per questo motivo subiscono delle penalizzazioni. Bisogna portarli all’attenzione della gente, farli uscire come entità affinché prendano valore e quindi importanza e considerazione all’interno dei teatri stessi.

In questo momento c’è unità tra i ballerini o spaccature, divergenze d’opinioni? E il direttore Renato Zanella?

Posso dire che forse, questa situazione di difficoltà generale, ha fatto mettere da parte le incomprensioni del passato, e abbiamo trovato un’unità di intenti che è auspicabile se non necessaria in questi casi. Quando si deve lottare per la sopravvivenza di un insieme, bisogna passare oltre le spaccature interpersonali e guardare avanti, uniti, altrimenti la battaglia è persa in partenza. Il direttore Zanella ha presentato le sue dimissioni negli ultimi giorni della nostra “lotta”, e da parte nostra interpretiamo il suo gesto come un atto dettato dalla delusione per l’effettivo progetto di smantellamento del corpo di ballo e dalla mancanza di progettualità e addirittura di futuro per il settore stesso.

Qual è il suo ricordo più bello legato all’Arena o alla sua carriera?

Ho tanti bei ricordi, legati all’Arena e alle altre compagnie in cui ho lavorato. In ogni luogo ho vissuto momenti indimenticabili, con persone diverse e in situazioni differenti, ma che hanno reso speciale il mio percorso artistico.

Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?

Mi piace il fatto che la danza, pur chiedendoti tanto dal punto di vista fisico e mentale, riesce poi con la magia della scena a ricompensarti dei sacrifici fatti; e poi noi ballerini abbiamo la fortuna di fare il lavoro che amiamo, e per cui abbiamo studiato, cosa a volte rara. Ciò che non sopporto, ad esempio, è che questo sia un mestiere con tanta competizione e soprattutto “individualistico”, senza spirito di gruppo, dove si va avanti per la propria strada, dovendo parare i fendenti che ti arrivano addosso a volte come la pioggia dal cielo; io personalmente amo gli sport di squadra, dove si lavora e si suda per un obiettivo comune, ma da questo punto di vista ho proprio sbagliato mestiere!

Che cosa è cambiato in questi ultimi anni ?

Purtroppo a mio parere è cambiato lo spirito con cui si fanno arte e teatro, e la danza in sé ha perso tanto della sua essenza principale, della sua magia. L’arte in tutte le sue forme è un’evoluzione dello spirito, innalza gli animi, le menti, è cultura, e la cultura è la ricchezza dei popoli, ma ormai ha perso questa sua valenza.

Che cosa la emoziona?

Tante cose perché sono molto sensibile, in questo senso ho la lacrima facile!

Ce l’ha un sogno da realizzare?

Tanti, non bisogna mai smettere di sognare.

Che cos’è la danza per lei?

Può sembrare scontato, ma è una grande parte della mia vita.

Elisabetta Testa

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