Alessandro Macario: la danza è una necessità

Ha attraversato l’Italia in lungo e in largo con la sua danza, sempre con l’emozione nel cuore. Dal Teatro San Carlo di Napoli – dove è iniziata la sua storia – al Teatro dell’Opera di Roma, passando per Verona, Palermo, Firenze e poi Nizza e Avignone, Alessandro Macario – napoletano – è stato ben quattro volte in Giappone. Dopo lunghe tournée con la Compagnia di Daniele Cipriani e il maestro Amedeo Amodio, è stato protagonista dell’Aida all’Arena di Verona con la coreografia storica di Susanna Egri. Free lance, per anni è stato Primo ballerino ospite e fiore all’occhiello della compagnia napoletana dove, a dispetto della simpatica aria da guascone, ha rivelato una qualità di lavoro eccellente, dalla tecnica limpida e dall’interpretazione profonda. Compagno di vita e di arte di Anbeta Toromani, splendida ballerina ammirata da tutti, ha danzato in coppia con lei in televisione e in numerosi teatri, ogni volta con meritato successo di pubblico e critica.

– Partiamo dall’inizio, com’è entrata la danza nella sua vita? –

Fulvio D’Albero, mio zio, era Primo ballerino al Teatro San Carlo e aveva una scuola di danza. A quattro-cinque anni mia madre si accorse che avevo la scoliosi e mi propose di studiare danza dallo zio. In realtà io volevo giocare a calcio come tutti i ragazzini! Pian piano mi sono appassionato sempre di più: a dieci anni sono entrato nella Scuola di Ballo del Teatro San Carlo sotto la direzione di Anna Razzi, fino al diploma. Per tre anni ho lavorato al Teatro alla Scala; poi Elisabetta Terabust mi ha invitato a Firenze con un contratto da solista, successivamente sono andato al Teatro dell’Opera di Roma dove c’era Carla Fracci. Quando la Terabust fu chiamata a dirigere la Compagnia del Teatro San Carlo, mi invitò a seguirla. L’avrei seguita ovunque perché la adoravo…e proprio con lei ho iniziato ad avere tutti i ruoli da protagonista con un contratto da Primo ballerino ospite.

– Quali sono state le difficoltà? –

Prima di tutto sono state tantissime, come anche le soddisfazioni… quasi sempre le due cose vanno di pari passo. Certamente le difficoltà maggiori sono state i sacrifici fatti e il rapporto con le persone, quando sei giovane ti martellano un po’ di più poi appena acquisisci un ruolo, una maturità, i maestri e i colleghi si rapportano a te in modo diverso perché hai raggiunto uno status. La gavetta è stata sacrificante, ho lavorato davvero tanto per arrivare ad un certo livello, non è stata una passeggiata.

– Chi ha inciso di più nel suo percorso artistico? –

Mio zio sicuramente! Mi ha dato tantissimi consigli, soprattutto quando ero piccolo e certe volte perdevo la via…mi diceva: “Se vuoi fare questo mestiere lo devi fare al meglio altrimenti lascia perdere, non c’è una via di mezzo”. Anna Razzi mi ha aiutato soprattutto negli ultimi anni, quando mi sono rimboccato le maniche per lavorare al massimo ma con la Terabust c’è stato uno scatto definitivo. Era una grande direttrice, una vera leader, era di una generosità incredibile, in due parole era come una mamma. Sono stati tre anni bellissimi, non solo per noi ballerini ma anche per il teatro, abbiamo fatto delle produzioni stupende. É stato un periodo di crescita per tutti noi, c’era una grande qualità di lavoro che, nel mio piccolo, mi piace trasmettere quando mi trovo a lavorare con i più giovani.

– Quanto contano la disciplina, il rigore, l’umiltà? –

Nel nostro mestiere sono tutto. Per arrivare lontano bisogna essere disciplinati e anche masochisti! Alla mia età la disciplina è una necessità…studio almeno due ore ogni giorno, a volte anche da solo. Il talento e le doti fisiche servono fino ad un certo punto ma poi lo studio ti mantiene in forma nel tempo. Il lavoro paga sempre.

– Secondo lei è più importante la tecnica o l’espressività? –

Tutte e due ma l’espressività in questo periodo manca, si punta tutto sulla tecnica che è diventata esagerata. Tempo fa c’erano dei maestri che insegnavano anche la teatralità, le controscene del ruolo…ora insegnano solo ad eseguire la variazione, a tirare il piede ma non c’è più l’arte della danza. Il pubblico profano non capisce i dettagli tecnici, gli resta impressa la luminosità artistica di un ballerino. I grandi personaggi di un tempo non ci sono più.

– Qual è il suo ruolo preferito, che tipo di ballerino si sente? –

Mi piacerebbe tanto essere un ballerino brillante e virtuoso ma non lo sono, credo di essere più un ballerino lirico e prediligo i ruoli in cui si può essere più umani, più romantici come quello di Romeo. Due anni fa a Salerno abbiamo portato in scena Romeo e Giulietta di Massimo Moricone…è stato meraviglioso! Poi naturalmente mi piacciono i ruoli espressivi, interpretativi come Albrecht in Giselle o Onegin. Ruoli in cui puoi raccontare una storia, vivere la crescita emotiva del personaggio.

– Che cosa la emoziona nella vita e nella danza? –

Nella vita mi emozionano la gentilezza, le persone educate, un sorriso comprensivo. Siamo in un momento in cui la gente è distratta, corre soltanto. Nella danza mi emoziona lo spettacolo, il movimento, le luci del palcoscenico, il buio dietro le quinte prima di iniziare. Tutto questo è come una droga, quando non ce l’hai ti manca.

– Qual è secondo lei la dote più importante per un ballerino? –

La perseveranza, la passione, la dedizione. La continua ricerca su sé stessi. Oggi mi piace quasi più studiare che andare in scena, confrontarmi con chi è in sala accanto a me.

– Che cosa consiglia ai giovani che si avvicinano allo studio della danza? –

Di studiare la storia della danza per conoscere il passato e poi sentirsi sempre ispirati e curiosi di imparare dagli altri.

– Le è mai capitato di avere paura? –

Si, ce l’ho sempre…guai se non ci fosse, non ci sarebbe più l’adrenalina. L’ansia da prestazione è diversa se fai due spettacoli all’anno o due al giorno, e noi purtroppo siamo in un paese in cui gli spettacoli di danza sono sempre pochi poi ovviamente dipende anche dal carattere.

– Che cosa è cambiato nel mondo della danza? –

Molte cose. Prima c’era il divismo ora non c’è più. I grandi nomi facevano salire il livello della compagnia, ora non vengono quasi più invitati… il confronto stimola, fa crescere la qualità.

– Che cosa le piace del mondo della danza e che cosa non sopporta? –

Non sopporto la mediocrità, l’ignoranza, mi piace la magia che si crea quando si va in scena e mette tutti di buon umore.

– Tre aggettivi nei quali si riconosce, lei com’è?

Non lo so…penso di essere simpatico, molto sensibile e credo di essere molto pignolo.

– Il momento più bello della sua carriera? –

Ce ne sono stati tanti, uno è stato il periodo con la Terabust che mi ha dato molta fiducia in me stesso, non mi ha mai regalato niente ma, pur gratificandomi con ruoli importanti, mi ha insegnato a tenere i piedi per terra. Non sono mai riuscito a tirarmela! Un altro momento bello è stato l’incontro con il maestro Amedeo Amodio con cui ho ballato tanto, persona generosa, grande artista, uomo di immensa cultura, ha incontrato Pablo Picasso, ha lavorato con Léonide Massine e con Antonio Gades, i suoi racconti di vita vissuta sono davvero affascinanti.

– La sua compagna di vita e di arte, Anbeta Toromani, è una ballerina splendida. Come vivete l’emozione di ballare insieme? –

È un’emozione bellissima. Litighiamo raramente, se succede è solo per il lavoro perché la confidenza durante le prove, quando siamo da soli in sala, non ci fa bene…abbiamo entrambi la testa dura anche se alla fine vince lei! Quando andiamo in scena ci conosciamo talmente tanto profondamente che è una meraviglia e poi ci vogliamo molto bene. Insieme abbiamo danzato tanto, dal teatro alla televisione e poi in tournée con la Compagnia di Daniele Cipriani siamo stati protagonisti di tre produzioni: Schiaccianoci, Coppelia, Carmen con la coreografia di Amedeo Amodio, le scene di Emanuele Luzzati e i costumi di Luisa Spinatelli. Da tre anni Anbeta ed io, con Amilcar Moret Gonzales, (tutti e tre over quaranta e questa cosa mi piace moltissimo!) e una pianista con noi in scena (Costanza Principe o Sofia Vasheruk) portiamo in scena Préludes, una coreografia di Massimo Moricone. É uno spettacolo di grande qualità, Massimo è un poeta, fa delle scelte musicali molto raffinate, parte dai Preludi di Chopin per arrivare a L’Après-midi d’un faune di Debussy e poi Rachmaninov e tutta la Ciaccona di Bach che dura venti minuti! L’abbiamo autoprodotto durante il Covid con mille difficoltà ma abbiamo fatto più di trenta recite girando per l’Italia, prossimamente saremo al Festival di Firenze il 12 luglio e a Maiori il 20 luglio.

– Che cosa la colpisce in un ballerino, qual è la prima cosa che guarda: le doti, la personalità, l’armonia, la musicalità, la dinamica, la luce che emette? –

È l’insieme di tutto questo che fa un artista. Mi colpisce il fascino del movimento, l’intelligenza del corpo e della mente che diventa sicurezza e va al di là della singola dote. In una parola: lo swing.

– Dove vuole arrivare Alessandro Macario? –

Bella domanda….Il mio sogno, e probabilmente resterà tale, è quello di poter dirigere un gruppo di giovani, una compagnia, per creare o per rimontare vecchi successi. Io ballo ancora e lavorare con i giovani o assistere i coreografi sarebbe molto bello e stimolante. Mi piace molto costruire insieme.

– Che cos’è la danza per lei? –

Una necessità. A breve dovrò smettere perché l’età lo impone ma non smetterò mai di studiare! Entrare in sala ogni giorno mi fa stare bene.

Elisabetta Testa

 

 

 

 

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