Mikhail Fokin, il primo grande coreografo del balletto classico moderno

Nacque a San Pietroburgo nel 1880. Entrato alla Scuola Imperiale fu subito notato dai suoi insegnanti per il talento precoce. Nominato nel 1898 primo ballerino del Teatro Mariinsky, senza dover compiere il consueto tirocinio nel Corpo di Ballo, seppe distinguersi nei principali ruoli del repertorio del tempo.

Carattere indocile, frequentò i corsi di perfezionamento coreografico che teneva a San Pietroburgo lo svedese Christian Johannson tanto che appena ventiduenne, nel 1902, sempre alla Scuola Imperiale, ottenne l’incarico di insegnante delle giovani allieve.

Due anni dopo era già docente nelle classi superiori, mettendo in luce eccellenti qualità di pedagogo e al tempo stesso imponendosi con un originale metodo di lavoro nel quale già si potevano avvertire le prime avvisaglie di quella riforma che attuerà in campo coreografico di lì a breve tempo.

Senza trascurare i quotidiani “esercizi alla sbarra”, considerava essenziali in un interprete le qualità espressive e in questo senso si sforzò di sviluppare nei suoi allievi doti creatrici individuali, battendosi anche per la libera improvvisazione.

Per lui la tecnica fu sempre non più di un semplice mezzo e non certo un vero fine.

A rivelarlo autentico e originale coreografo sarà La morte del cigno (1904) creato per Anna Pavlova e destinato a diventare il simbolo artistico della stessa danzatrice.

Verranno poi Sogno di una notte di mezza estate e Chopiniana che, successivamente, nel corso dell’avventura parigina dei Ballets Russes alla quale aderirà, diventerà Les Sylphides.

Sarà appunto accanto a Diaghilev che dalla fantasia di Mikhail Fokin nasceranno una serie di capolavori che saranno presto universalmente popolari.

Dal 1909 al 1914 comporrà: Carnaval, Le danze polovesiane del principe Igor, L’uccello di fuoco, Shéhérazade, Petruška, Le spectre de la rose e tanti altri.

Fu a quell’epoca che in una lettera pubblicatagli dal quotidiano londinese “Times” (6 luglio 1914), Mikhail Fokin condensò in cinque paragrafi quella che si può definire la sua riforma del balletto moderno.

Una riforma in cui il suo primo punto risiede nel “creare in ogni balletto una forma di danza corrispondente allo stile del soggetto.”

Quanto ai successivi, sosteneva come danza e mimica debbano servire all’azione drammatica e non essere usati come semplice divertissement all’interno di una pantomima; l’uso dei gesti solo quando richiesto espressamente dallo stile del balletto; il corpo di ballo deve essere espressivo nella sua interezza, non rappresenta un semplice ornamento; il balletto deve essere considerato sullo stesso piano delle altre arti: poesia, musica e arti figurative.

I dissidi scoppiati tra Fokin e Diaghilev, determinati anche dal fatto che l’impresario dei Ballets Russes volesse imporre Vaslav Nijinsky come coreografo, lo allontanò dalla compagnia.

Ritornò in Russia ma la rivoluzione lo farà emigrare prima in Svezia e poi negli Stati Uniti.

Dopo alcuni anni difficili in cui dovette accontentarsi di produrre spettacoli modesti dedicandosi anche al music-hall e al cinema, nel 1921 è di nuovo a Parigi e firma una serie di interessanti creazioni per la compagnia di Ida Rubinstein.

Un successivo periodo di composizioni meno estrose fece supporre che la sua sorgente creativa fosse ormai esaurita quando invece questo coreografo geniale – considerato l’erede spirituale di Marius Petipa – ritrovò tutta la potenza della sua immaginazione creando altri capolavori come Don Giovanni di Gluck, Cendrillon, Paganini.

Perfetta costruzione, chiarezza espressiva, forte dinamismo erano ancora una volta presenti in questi lavori così come nelle ultime opere create per il Ballet Theatre in America, dove era ritornato a vivere.

La sua vita si interromperà bruscamente, proprio a New York, un giorno d’estate del 1942 quando il suo nome era già entrato da tempo nella storia del balletto.

No Comments

Rispondi