01 Dic Francesca Falcone: "Ogni movimento va capito prima nella testa e poi nel corpo"
E’ una presenza preziosa nel mondo della danza. Il fervore e la passione che la contraddistinguono vanno di pari passo con un carattere allegro e propositivo. Da anni svolge una intensa attività di studio, ricerca, approfondimento e divulgazione che fa fatica ad entrare nelle pagine di un curriculum, non a caso lunghissimo, nel segno distintivo di una brillante qualità di lavoro. Docente di Teoria della danza presso l’Accademia Nazionale di Danza dal 1981, Francesca Falcone è un fiume in piena oltre che una persona speciale, che vive la danza a trecentosessanta gradi.Che cos’è la teoria della danza?È una domanda che implicherebbe fiumi di parole. Innanzitutto il processo teorico è quello che accompagna la pratica, ne è la base, il piedistallo. Non c’è pratica senza la riflessione teorica e non c’è un’applicazione teorica senza la riflessione pratica. Teoria e pratica sono in stretta congiunzione. La pratica è sempre molto flessibile, la ricerca – soprattutto nella danza – non è mai immobile. La riflessione teorica crea un momento di analisi che può essere fatta su diversi livelli a partire dall’analisi grammaticale del movimento per poi arrivare a quella musicale o anatomica. Sappiamo che la teoria nasce con la consapevolezza dell’armonia corporea che presuppone quelle che sono le leggi della postura e quindi una buona legge armonica non potrà mai andare contro il corpo. La teoria, come diceva Carlo Blasis nel suo Trattato elementare teorico-pratico dell’arte della danza, accompagna e corrobora la formazione del danzatore nel dare anche una base culturale che si avvale di una parte che riguarda l’aspetto musicale e compositivo, la conoscenza della pittura, delle leggi della forma, dell’armonia dello spazio e l’intenzionalità del movimento, con la sua funzione drammatica. Bisogna capire cosa c’è dietro il movimento e che cosa rappresenta, prima nella testa e poi nel corpo.Qual è la differenza tra il passato e il presente della danza?Per capire il passato dobbiamo prenderlo e portarlo nel presente, reinterpretarlo. Se il presente si butta a capofitto nel passato non ne veniamo a capo. Alla luce di questo io posso farlo – come nel caso di un passo di una variazione del repertorio – sapendo che comunque non c’è mai immobilità in quella ripresa ma c’è sempre un atto creativo, una firma di chi crea quel movimento. Quindi il passato viene vissuto nel presente.Lei è una studiosa del movimento, che cosa la emoziona?Del movimento mi emoziona un piccolo particolare, un’indicazione della mano, delle braccia ma soprattutto dove va lo sguardo, perché è fondamentale. C’è una consapevolezza del movimento se c’è una consapevolezza spaziale, intendo la conoscenza dello spazio che è monolineare oppure multifocale. Quindi la multifocalità del danzatore è riuscire, con l’attenzione e la concentrazione del pensiero – perché lo spazio non è altro che una riflessione del pensiero – a compenetrare tutto quello che accade. Io insegno ai miei ragazzi ad entrare in un luogo e a riconoscere immediatamente tutto quello che c’è intorno a loro per poter avere una presenza, un senso di allerta che mi fa dominare attraverso lo sguardo quello che c’è nello spazio, che è orientamento, quindi per me è molto importante dove si guarda e come si pensa ad indirizzare lo sguardo.C’è un personaggio del passato che ama in particolare?Carlo Blasis e Auguste Bournonville.Nella contaminazione odierna la tecnica di Bournonville rappresenta uno scrigno prezioso…È uno scrigno prezioso ma è anche un gioiello che si può indossare su un abito sempre nuovo. È quel gioiello antico della nonna che brilla su un abito di couture attuale.E la danza italiana? Nel nostro passato era un punto di forza, di orgoglio.E lo è ancora perché esportiamo molta danza italiana in termini di ballerini, di energie, di pensiero, di ricerca, ne siamo effettivamente consapevoli. Lo siamo diventati moltissimo a partire forse dagli anni ’80 quando il portoghese Josè Sasportes ci ha posto di fronte al nostro gioiello che è la ricerca sulla danza italiana in termini di documentazione, di materiali, di cui noi fino a quel periodo eravamo poco coscienti. Per quanto riguarda l’esportazione della danza italiana ci sono stati dei momenti storici molto importanti, per esempio gli anni ’30 e ’40 del Novecento sono stati significativi perché il ballerino italiano era molto richiesto all’estero. Aveva una scuola alle spalle e per scuola si intende non puntare l’attenzione sulle capacità di un solo ballerino talentuoso ma creare uno statuto di arte nella formazione di tutti i ballerini. La scuola è un segno di riconoscimento, un imprinting, uno stampo attraverso cui il danzatore di scuola italiana si dovrebbe riconoscere. Forse oggi non si riconosce più, certo è anche vero che la contaminazione degli stili ci ha portato ad un corpo che ne fonde diversi, il che è anche bello ma ci sono dei segni indicativi che ci riportano al nostro DNA. Per esempio si può riconoscere una danzatrice da come si siede, una ballerina classica antropologicamente ha incorporato nella sua seduta quanto ha imparato nella lezione di danza, quindi si siederà sempre in modo eretto. Forse riconoscere un danzatore italiano da una sua modalità stilistica potrebbe essere un piccolo particolare che ci arricchisce, ci impreziosisce oltre al fatto che è interessante per la nostra identità. E’ un tema molto attuale quello della nostra identità, ritornare alla cura di quello che siamo stati, ritrovare dei segni distintivi non per sbandierare nazionalismi ma proprio per riconoscerci, per apprezzarci.L’Italia quanto sta puntando nella ricerca sul campo della danza?Si potrebbe fare molto di più… penso che si debba rafforzare l’unione tra gli studiosi nel segno di una ricerca condivisa. Oggi non è il momento di essere autoreferenziali.Il recente seminario a Roma sulla tecnica italiana, con la ricostruzione di una lezione a cura di Anna Razzi, è il suo ultimo progetto realizzato, come è nato?Diciamo che parte tutto dal lontano 1999 con lo sforzo che ha fatto la professoressa Flavia Pappacena nel cercare di riportare l’attenzione sulla ricerca sulla danza italiana con un bellissimo convegno che fu fatto proprio al Consiglio Nazionale delle Ricerche, su quella scia ci vorremmo muovere perché sento che è diventato urgente questo momento anche per rendere partecipativa una utenza molto più allargata rispetto a quella del 1999. Il ricercatore isolato oggi è poco ascoltato, ci deve essere anche quello però la ricerca va condivisa e indirizzata a tribune diverse, cioè bisogna muoversi a tutto tondo, cambiare la prospettiva.Ha ancora tanti progetti da sviluppare, dove vuole arrivare Francesca Falcone?Ad essere felice facendo quello che amo.Ma com’è entrata la danza nella sua vita?Avevo otto anni e come tutte le bambine ero curiosa, in quel periodo abitavo a Padova, mia madre mi iscrisse in una scuola di danza dove insegnava Vanna Busolini, una scaligera. E’ cominciato tutto lì, poi mi sono trasferita a Roma e ho studiato con Wilma Valentino e poi all’Accademia Nazionale di Danza dove mi sono formata studiando in quello che allora si chiamava Corso di Avviamento e che è l’attuale Triennio, comparabile alle lauree brevi, di primo livello.Che cosa è stato difficile nella scelta del suo percorso?Abbandonare la mia verve di voler fare tante cose per la danza, ricordo un episodio della mia vita che mi ha segnato in senso positivo. È stato il momento in cui ho deciso di non essere più danzatrice, in seguito ad una audizione che feci al Teatro dell’Opera di Roma. Ero arrivata tra le prime dodici ma non si attinse a quella graduatoria, per ragioni economiche o per motivi che mi risultano ancora oggi sconosciuti. Furono presi dei sostituti. Bene, io trasformai quel dato negativo in un segno positivo… cioè avevo ricevuto l’illuminazione: studiavo all’università, frequentavo l’Avviamento in Accademia e a quel punto decisi che quella non era più la mia strada.Mi dice tre aggettivi che la descrivono?Solare, entusiasta e determinata.Che cos’è la danza per lei?Essere solari, entusiasti e determinati.Elisabetta Testa
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