28 Gen Mauro Bigonzetti, "l’Italia è piena di talenti"
La sua vena creativa sembra non avere limiti. Ha firmato una quantità incredibile di coreografie che vengono rappresentate costantemente in giro per il mondo. Istintivo, folle e determinato – come lui stesso dice di essere – Mauro Bigonzetti è un fiume in piena, non ama fare progetti ma sa bene quello che vuole. Sarà lui, appena la nomina sarà resa ufficiale, a guidare il Corpo di ballo del Teatro alla Scala, un impegno importante.
Com’è entrata la danza nella sua vita?
Per puro caso. Solo in un secondo momento ne ho scoperto il fascino. Ho studiato al Teatro dell’Opera di Roma e, come tanti altri ragazzi, ho avuto la possibilità di andare in scena fin da bambino. L’impatto con il palcoscenico è catturante, ricordo ancora le emozioni forti che ho vissuto.
Chi ha segnato il suo percorso artistico?
Tante persone. Il cammino di un artista è formato da cicli, da piccolo tutto l’ambiente del teatro mi sembrava un grande giocattolo a mia disposizione; crescendo, il maestro Miloss ha rappresentato per me una scuola di vita oltre che di danza. I grandi coreografi che hanno inciso nella mia carriera sono stati Alvin Ailey, William Forsythe, Glenn Tetley. Sono anche molto fiero di aver lavorato da solo, mi sono dato da fare parecchio, senza aspettare che l’insegnante mi prendesse per mano.
Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta a diventare coreografo?
Dopo aver esaurito il potenziale tecnico ed espressivo (ho smesso di ballare a trentatré anni), non avevo voglia di abbandonare l’ambiente della danza, anche perché non sapevo fare altro e volevo continuare il mio percorso artistico in maniera diversa. Sentivo di poterlo fare attraverso la coreografia, anche se mi faceva paura. Finché non provi, pensi sempre che siano in pochi all’altezza di creare. Ho avuto la fortuna di incontrare Cristina Bozzolini, ex direttrice del Balletto di Toscana che ha subito creduto in me, incoraggiandomi. E’ stata una persona molto importante nella mia vita professionale, non solo perché mi ha dato la possibilità di portare il mio lavoro davanti ad un pubblico ma mi ha convinto a proseguire in questo campo.
Quali sono state le difficoltà?
Ho cominciato nel 1973, e per vent’anni ho avuto una solida sicurezza economica, dovuta al mio lavoro. La difficoltà più grande è stata quando ho smesso di ballare perché non avevo più una prospettiva e la mancanza di uno stipendio fisso mi ha destabilizzato psicologicamente. Dopo un inizio difficile ho cominciato a lavorare all’estero, all’English National Ballet, ottenendo i primi consensi. Non immaginavo che in così poco tempo si sarebbe sbloccata la mia situazione, certo oltre alla mia capacità mi ha aiutato anche un pizzico di fortuna…
Come nasce una sua creazione?
Sempre dall’incontro con le persone con le quali lavoro. Al di là del tema, della musica, dei passi, della messa in scena, dipende dal posto in cui mi trovo, dai ballerini che ho a disposizione. Pur utilizzando la stessa musica o gli stessi movimenti, il risultato sarà sempre diverso se i danzatori sono diversi.
Che tipo di linguaggio coreografico predilige nelle sue coreografie?
Sicuramente il mio. Un grande musicista diceva:” Non è importante come dici qualcosa ma ciò che dici.” Non saprei definire il mio lavoro, sono stato invitato dalle più grandi compagnie classiche e da quelle contemporanee e mi trovo a mio agio dappertutto perché il mio linguaggio è il corpo e il corpo è uguale in tutto il mondo. Non so cosa significhi essere un ballerino classico o contemporaneo. Il ballerino è un artista, deve avere la coscienza del proprio corpo. A me interessa un corpo danzante non quello che si limita ad eseguire una serie di passi in maniera meccanica.
Che cosa la colpisce in un danzatore?
La personalità e il carattere. Però poi nel lavoro quotidiano sono molto importanti la curiosità e la generosità, senza le quali è come avere tra le mani una materia che non si plasma.
Che cos’è il talento?
Qualcosa di importante ma non indispensabile. Più ne hai e più è difficile gestirlo. Il talento in assoluto per me è l’intelligenza, poi naturalmente c’è quello fisico. Insieme sono il massimo ma raramente si trovano in un ballerino.
Crede nell’ispirazione?
Certo! E’ fondamentale per un artista. L’ispirazione è dentro di noi, non si inventa, bisogna saperla cogliere mettendo i propri sensi in relazione con l’esterno.
Ha mai avuto paura?
In palcoscenico no. Nella vita le paure ci sono sempre, quelle più grandi sono legate al mio ruolo di padre.
Chi è Mauro Bigonzetti nel panorama mondiale della danza?
Una figura un po’ anomala. Non conosco altri coreografi che riescono ad integrarsi indistintamente nelle più grandi compagnie internazionali, classiche e contemporanee. Credo che il mio modo di lavorare con le persone determini uno stile molto ‘umano’. Al di là della tecnica e dello stile, lavorare sui sensi, sui sentimenti, sul carattere delle persone, fa si che si crei un tipo di danza per le persone, che, pur essendo diverse per cultura, per esperienza, alla fine sono un terreno fertile dappertutto. Se dovessi identificare il mio stile, direi che è assolutamente personale, indefinibile. Non amo molto rimontare i miei lavori per una compagnia diversa da quella per cui sono stati creati, non credo di poter vendere un balletto come potrei vendere una macchina. Preferisco sempre creare un balletto nuovo piuttosto che rimontarne uno già fatto. I danzatori non sono tutti uguali, ogni compagnia è un microcosmo.
Secondo lei cosa manca alla danza in Italia?
Le leggi. La cosa più triste è non avere una sana concorrenza, senza la quale non c’è mercato. In Italia ci sono molti gruppi ma mancano le compagnie di un certo livello con una struttura solida, una capacità organizzativa, progettuale. L’Italia è un paese pieno di talenti, di creatività, di arte e di cultura, manca proprio un sistema di gestione che regoli il tutto. Visibilità e continuità di lavoro sul territorio sono fondamentali per un artista e nel nostro paese questi due aspetti mancano.
Che cos’è la danza per lei?
Un qualcosa di inscindibile dalla vita. Energia pura, respiro, movimento. Senza la danza vivrei male.
Elisabetta Testa
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