Adriano Bolognino: “la danza è il mio motore”

Napoletano, classe 1995, quando parla è un fiume in piena. Istintivo, romantico e testardo – come lui stesso si definisce – Adriano Bolognino (nella foto di Francesco Aurisicchio) è un apprezzato giovane coreografo contemporaneo che ha già fatto tanto. Con un curriculum internazionale e un approccio umano che privilegia la semplicità e l’empatia con l’interlocutore, il suo percorso spazia tra creazioni, workshop e laboratori nel segno della qualità. Vincitore del Premio Danza&Danza 2024 con “La Duse”, l’anno precedente ha creato per il Teatro dell’Opera di Roma “Yellow” e sta già pensando ad una nuova coreografia sul Bolero di Ravel. Per una settimana sarà ospite di Movimento Danza, a Napoli, per il laboratorio performativo “Dentro una fiamma” che terminerà venerdi 7 marzo con la restituzione finale aperta al pubblico.

-Com’è entrata la danza nella sua vita?-

È entrata in due fasi, ho iniziata a studiarla da piccolino poi mi sono spostato nel mondo del calcio perché mio padre è stato un ex calciatore e allenatore. Ho sempre avuto questa duplice passione. Verso i tredici anni ho ripreso lo studio della danza avviandomi ad un percorso professionale della danza classica per poi integrarla con quella contemporanea, le tecniche moderne e hip-hop.

-Che cosa è stato difficile nel suo percorso?-

Difficile no, direi che è stato un percorso combattivo nel senso che quando studiavo ero molto testardo e caparbio e ci credevo tanto. Come danzatore ho dovuto affrontare una realtà che mi imponeva degli stereotipi. Essendo un uomo e non di altezza standard, pur avendo una tecnica molto forte ho avuto difficoltà a trovare una compagnia che potesse piacermi e che rispettasse i canoni a cui aspiravo. Devo dire che non avevo l’animo da danzatore…da sempre volevo portare il mio mondo in scena, volevo creare. Il mio spirito creativo era dentro di me prima ancora di ricominciare a studiare danza, quando ancora giocavo a calcio. Sono stato fortunato, a ventitré anni ho iniziato il mio percorso coreografico che ha avuto sicuramente vari momenti di combattimento. È stato difficile imporsi, continuare ad andare dritti con le proprie idee ma poi tutti i tasselli che avevo conquistato con grandi sacrifici e sforzi si sono uniti, con soddisfazione ed armonia.

-Chi ha inciso di più nel suo percorso artistico?-

Nessuno in particolare ma tutte le tappe del mio percorso sono state importanti. Ho studiato al Centro Regionale della Danza di Mara Fusco e tutti gli insegnanti della scuola hanno contribuito alla mia formazione, a tutti devo qualcosa e nei percorsi che ho avuto in seguito – sia i corsi di formazione in Italia e all’estero che gli incontri artistici – ho cercato sempre di prendere qualcosa da ciascuno.

-Dovendo identificarsi, si sente più danzatore, coreografo o maestro?-

Sono un coreografo contemporaneo free lance, non danzo ormai da tanti anni e forse non ho mai avuto l’animo da danzatore, quello di mettersi al servizio di qualcuno e alla prova tutti i giorni con il proprio corpo, in prima linea. Un maestro no, non ho ancora le strategie di un mentore a livello formativo. Coreografo penso di esserlo sempre stato, con onestà porto il mio mondo sempre al di fuori degli schemi e cerco di dialogare con i miei interpreti, con i danzatori. Cerco di donare il mio io più profondo, in maniera istintiva.

-Come nasce una sua creazione? Da un’idea, dalla musica, da un progetto, da una emozione?-

Nasce sempre da qualcosa che scaturisce a livello emotivo ma che parte da un progetto scritto. Cerco sempre di figurarla, che sia un’ispirazione su un tema sociale o un’opera d’arte, una sensazione o un’emozione cerco sempre di andare nello scritto e dallo scritto elaboro quello che è danzato, non dalla musica. Almeno per il momento la mia ricerca coreografica si basa sul ritmo e io creo senza musica quindi il ritmo è il main rule del mio lavoro coreografico. La musica arriva quasi sempre in un secondo momento come atmosfera da accompagnare ai ritmi e alla partitura coreografica senza necessariamente andare a braccetto ma anzi, andarle anche contro, stando attento a non rompere i ritmi.

-Che cosa la colpisce in un danzatore, il corpo, le doti, l’intensità, la bellezza?-

Sono sicuramente un amante della bellezza, mi piace il corpo in tutte le sue sfaccettature ma mi piacciono anche le sue bruttezze. Mi piace poter accompagnare bellezze e bruttezze, governarle, stravolgerle. Sono attratto sicuramente dalla personalità, dal modo in cui il danzatore riesce ad entrare nel mio lavoro senza romperlo ma arricchendolo, è la cosa che cerco di più. Il mio materiale coreografico è fisso, io non creo con l’improvvisazione ma stabilisco tutto quello che va in scena, a questo si aggiunge la personalità dei danzatori.

-Le è mai capitato di avere paura, in sala prove, in palcoscenico? Paura di non farcela, di sbagliare, di non riuscire a stabilire un buon rapporto con i danzatori?-

Si perché come coreografo mi metto molto più a nudo di quanto facessi come danzatore, ruolo in cui era l’ego che voleva fuoriuscire. Come coreografo riesco a sentire i miei lati più intimi e sensibili e quando inizio una nuova creazione ho sempre paura di cosa mi aspetti perché per me è importante creare una situazione familiare in sala, ho bisogno di avere rispetto dai danzatori, un volersi bene reciproco, una comprensione continua. Il mio è un lavoro molto umano, per me è importante che il danzatore si senta bene, a proprio agio.

-Ce l’ha un sogno da realizzare?-

Ne ho tantissimi! Molti si sono realizzati, mi ero detto che entro i trent’anni avrei voluto creare qualcosa per un teatro importante…a ventotto/ventinove mi è arrivato l’invito di Eleonora Abbagnato direttrice del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, dunque un grande sogno realizzato e non dico di voler creare una mia compagnia perché al momento sento che ancora non è la mia strada però mi piacerebbe sempre di più creare per corpi di ballo, per teatri e un giorno avere il mio repertorio che possa essere tramandato.

-Qual è il suo coreografo preferito e qual è la sua cifra stilistica?-

La mia cifra stilistica è sicuramente un materiale gestuale e molto ritmico, intendo cambi di passo dal ritmo lento a velocissimo, istintivo, cambi netti o in dissolvenza super lenti, mi piace molto usare la tecnica del balletto classico e le contaminazioni di hip-hop, cerco di scoprire sempre di più questo mio mondo. Come coreografi non ce n’è uno solo ma tanti, si impara anche molto dai giovani, poi naturalmente ci sono i grandi: Ohad Naharin che forse è quello che prediligo su tutti ma adoro Jiří Kylián, Mats Ek , Wayne McGregor e ultimamente mi piace tantissimo Medhi Walerski, direttore della compagnia Ballet BC.

-Progetti futuri?-

Dopo aver vinto il Premio Danza&Danza 2024 come miglior produzione italiana con il mio lavoro “La Duse. Nessuna Opera” creato con la mia musa e compagna di vita Rosaria Di Maro, ho molti corsi di formazione e workshop in giro per l’Italia a partire da Torino e Bolzano. Porterò i miei spettacoli in giro, andrò al Belgrado Dance Festival con tre mie creazioni, poi in Svizzera, in attesa di una nuova creazione che sarà molto probabilmente sul Bolero di Ravel.

-Che cos’è la danza per lei?-

Il mio motore. Ho molti cambi di personalità, devo combattere con me stesso, con i miei molteplici umori…nella danza riesco a mettere la mia linfa vitale e spero di poterlo fare sempre di più.

Elisabetta Testa

 

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