Teatro San Carlo: grande successo per “Il Lago dei cigni” di Patrice Bart

Un successo annunciato. Lunghi minuti di applausi a scena aperta, in un teatro gremito, hanno siglato il debutto de Il Lago dei cigni (nella foto di Luciano Romano), balletto-icona della danza classica, in scena al Teatro San Carlo (più bello che mai!). Al di là dello sviluppo narrativo, della costruzione coreografica, dell’epilogo tragico o dell’happy end, la musica di Pëtr Il’ič Čiajkovskij – diretta dal maestro Benjamin Shwartz – ha una forza travolgente, fortemente evocativa ed è un capolavoro assoluto che difficilmente lascia il cuore indifferente.

La storia del Lago dei cigni, diversa dall’atmosfera mielata de La Bella addormentata (1890) e Lo Schiaccianoci (1892), gli altri due balletti che compongono la trilogia del celebre compositore russo, rivela fin da subito un risvolto psicologico più cupo e profondo che si presta ad argomentazioni freudiane (e non solo). La versione coreografica di Patrice Bart – andata in scena nel 1997 alla Staatsoper di Berlino – accorpa la vicenda in soli due atti, che ne comprendono i quattro originali più il prologo, e mette in risalto il tormentato rapporto tra il Principe Sigfrido e la Regina madre (con un suo lungo assolo si apre il secondo atto che continua inglobando la celebre danza russa e la czarda, accanto a Rothbart, con lo scopo preciso di insinuare nel figlio il potente e devastante ‘mostro dagli occhi verdi’ di shakespeariana memoria.

Infida manipolatrice, senza un uomo accanto, la Regina madre riversa tutte le sue attenzioni sul principe Sigfrido, imponendo un coinvolgimento fisico che spingerà il giovane figlio al suicidio, nel tragico finale. Anche il ruolo di Benno, l’amico del Principe – il quale, a sua volta, lotta disperatamente contro la propria omosessualità – acquista maggiore rilievo nel corso della storia, interagendo al suo fianco come co-protagonista nelle danze del primo atto e in più momenti dello sviluppo narrativo. Fisicamente poco incisiva la figura del mago Rothbart negli intrecci coreografici dei cigni, è però una presenza inquietante che, se da una parte sventola furiosamente le sue lunghe ali sul fondo (e dall’alto) della scena manifestando la sua essenza minacciosa e crudele, dall’altra, viene utilizzata dalla Regina madre per far ingelosire il figlio, vittima sacrificale dei suoi desideri malati.

Rispetto al capolavoro portato in scena dal genio di Marius Petipa nel 1895, nella versione di Patrice Bart – francese, già étoile dell’Opéra di Parigi, assistente dell’indimenticabile Rudolf Nureyev, coreografo e direttore – l’ambientazione è spostata agli inizi del Novecento, precisamente nel 1910, gli “anni folli” in cui, ignari della catastrofe distruttiva che si sarebbe abbattuta sull’Europa con la prima guerra mondiale, la vita andava avanti in maniera allegra e spensierata. I costumi di Luisa Spinatelli, dalle tinte tenui del primo atto ai colori più vivaci dell’inizio del secondo atto, sono il ritratto perfetto di un’epoca, sullo sfondo di una scenografia non particolarmente incisiva che ingloba i vari quadri (seppur così diversi) del balletto.

La giovane compagnia del Teatro San Carlo – diretta con grande esperienza da Clotilde Vayer (anche lei francese, una vita passata all’Opéra di Parigi, da lunghi anni maître de ballet  e assistente alla direzione) con il supporto di Raffaella Renzi e Soimita Lupu (rispettivamente assistente alla coreografia e maître de ballet) – si è rivelato ancora una volta un ensemble affiatato e dal lavoro preciso, dando ampia prova delle proprie capacità ed è ancor più encomiabile il lavoro svolto, visto il periodo difficile e destabilizzante che stiamo vivendo.

Su tutti si impone la presenza scenica di Luisa Ieluzzi nel ruolo di Odette/Odile (negli altri cast Claudia D’Antonio e Anna Chiara Amirante) per la sua grande sensibilità interiore, la presenza scenica luminosa, l’ineccepibile resa tecnica. Brava e bella da morire (la sequenza non è casuale visto che la bravura si costruisce nel tempo e con grande fatica, la bellezza è un fatto casuale, di nascita, e non ha alcun merito), ha saputo rendere meravigliosamente lo spirito delicato e rarefatto del cigno bianco, che incarna la purezza assoluta. Mai fuori posto, linee lunghe e scolpite, un’anima intatta, si è rivelata più a suo agio nel ruolo di Odette che in quello della perfida Odile-cigno nero, seppur interpretato con determinazione e grande tecnica. Accanto a lei, Alessandro Staiano nel ruolo del Principe Sigfrido (Salvatore Manzo e Danilo Notaro negli altri cast) ha dato forza e vigore al personaggio con la sua tecnica possente, non tralasciando l’inquietudine di sentimenti intimi, legati al rapporto con la Regina madre, impersonata con eleganza e malia da Annalina Nuzzo. In ottima forma Stanislao Capissi, nei panni di Benno, che oltre alla tecnica ha sfoderato una buona dose di felicità nel danzare e coinvolgimento espressivo.

L’impatto visivo degli atti bianchi – il secondo fedele all’originale di Petipa, il quarto rivisitato interamente da Patrice Bart – la magnificenza della coreografia, il crescendo emotivo che scaturisce dall’eterna lotta tra il bene e il male, crea una tale suggestione che è difficile da dimenticare nel tempo. E si rinnova ogni volta che, a distanza di centoventisei anni, la forza dirompente de Il Lago dei cigni avvolge la nostra anima.

Elisabetta Testa

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