Scuola di Ballo del Teatro alla Scala: in scena una grande qualità di lavoro

E’ un punto di riferimento per la danza italiana, e non solo. La Scuola di Ballo del Teatro alla Scala (nella foto di Marcello Chiappalone), diretta da Maurizio Vanadia con la supervisione di Frédéric Olivieri, vanta un passato illustre che, a partire dal 1813, ha visto succedersi alla guida i grandi nomi della danza – a partire da Carlo Blasis ed Enrico Cecchetti – e tra gli allievi, alcuni dei protagonisti della scena internazionale come Carla Fracci, Luciana Savignano, Roberto Bolle.

Lo spettacolo di fine anno, in scena al Teatro Strehler di Milano per ben quattro serate, ha messo in luce tutta la bellezza e la professionalità di una scuola che sa unire tradizione e innovazione. Da molti anni, infatti, c’è la possibilità di una duplice specializzazione – in danza classico-accademica e in danza moderno-contemporanea – che arricchisce la scelta artistica dello spettacolo di fine anno, di ampio respiro.

Un défilé iniziale, ideato da Frédéric Olivieri sulla musica di Richard Wagner (Tannhäuser – Marcia del II atto) ha presentato gli allievi più grandi della scuola, che si distinguono per selezione fisica, bravura tecnica, cura dei dettagli e grande lavoro di insieme.

A seguire Gymnopédie, tratto dal balletto Ma Pavlova (1986), coreografia di Roland Petit ripresa da Luigi Bonino su musica di Eric Satie, che punta l’accento su un bellissimo passo a due, dove non manca l’ironia dell’artista francese, considerato uno dei grandi geni del balletto narrativo del Novecento.

Una scelta interessante, quella di portare in scena La Stravaganza di Angelin Preljocaj, coreografo franco-albanese, ripresa da Claudia De Smet su musica di Antonio Vivaldi, Evelyn Ficarra, Serge Morand, Robert Normandeau e Ăke Parmerud. Creato nel 1997 per il New York City Ballet, rimontato nel 2005 per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala e due anni fa per la Scuola di Ballo, rappresenta una bella sfida tecnica perché mette in scena sei coppie di danzatori divisi in due gruppi opposti per stile ed interpretazione. Da una parte la purezza di linee neoclassiche, dall’altra un movimento spontaneo, viscerale che di volta in volta ben si allinea alle diverse scelte musicali. Un lavoro sul tema dell’immigrazione che diventa incontro, scambio, contaminazione, tutti elementi che nell’arte, come dovrebbe essere anche nella vita, arricchiscono, creano nuove congiunture, nuove possibilità espressive, comunicazione, scambio di energia.

Gran finale con la suite da Gaîté Parisienne, una coreografia – rimontata da Piotr Nardelli – che Maurice Béjart creò nel 1978 sulla musica coinvolgente di Jacques Offenbach. Una storia autobiografica che racconta la storia di un ragazzino, Bim, e del suo amore sfegatato per la danza che ha fatto di lui uno dei più apprezzati coreografi del ‘900. In scena tutta la grinta esplosiva e il senso artistico, e danzante, di giovani ragazzi destinati a diventare i protagonisti del futuro per la spiccata qualità di lavoro.

Tantissimi gli applausi a scena aperta che hanno premiato l’impegno degli allievi più giovani, dei diplomandi (purtroppo il programma di sala non riportava i loro nomi), il contributo di allievi e diplomati dei Corsi per Sarti dello spettacolo, Truccatori e Parrucchieri teatrali, Scenografi di Teatro e Fotografi di scena dell’Accademia Teatro alla Scala e naturalmente tutti i docenti: Loreta Alexandrescu, Jean-Philippe Halnaut, Vera Karpenko, Leonid Nikonov, Tatiana Nikonova, Elisa Scala, Emanuela Tagliavia, Paola Vismara, Antonella Stroppa, Chiara De Vivo, Andrea Massimo Grassi, Luigi Manfrin, Francesca Pedroni.

Elisabetta Testa

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