24 Mag Andrei Fedotov:” Rudolf Nureyev mi ha cambiato la vita”
Un lungo percorso al Teatro Bolscioi di Mosca, dalla scuola alla compagnia, prima di girare il mondo dall’Europa all’America, all’Australia, in qualità di maître de ballet. L’incontro che gli ha cambiato la vita è stato quello con Rudolf Nureyev, al Teatro alla Scala, negli anni in cui la danza faceva sognare, tra miti e leggende planetarie. Serio, rigoroso, autorevole, bello e affascinante, Andrei Fedotov ha tanto raccontare e lo fa con un garbo singolare che accompagna la sua prestigiosa esperienza professionale. E’ un brillante raffinato in un mare di confusione e, molto spesso, approssimazione.
Maestro, mi racconta com’è nata la sua passione per la danza?
È una storia lunga…sono nato a Mosca e ho studiato alla Scuola del Teatro Bolscioi, la mia famiglia non aveva alcun collegamento con la danza né con l’arte in generale. Sono stato preso per caso alla scuola del teatro: c’erano pochi ragazzi e quindi dovevano pescarli da qualche parte… la nostra vicina di casa, insegnante della scuola, parlò con mia madre raccomandandole di portarmi il giorno dei provini. Ho superato tutte le prove di ammissione ma non sapevo niente della danza e non capivo proprio cosa volessero da me. Sono stato fortunato perché quell’anno la nostra scuola celebrava i duecento anni con un grande gala al Teatro Bolscioi. Ero al primo anno di studi e quando ho visto il teatro per la prima volta in vita mia mi sono innamorato; al gala erano presenti tutte le étoiles più importanti dell’epoca e questo impatto ha lasciato un segno indelebile dentro di me, è scattato qualcosa e da allora ho cominciato a studiare sul serio, con grande motivazione, fino al diploma.
Che cosa è stato difficile nel percorso di studi?
Il cambio dei maestri. La mia classe (solo maschile) era molto forte – tutti i miei compagni di corso hanno dei ruoli importanti nel mondo della danza (tra questi Andris Liepa e Nina Ananiashvili) – la tecnica non era un problema. Il nostro maestro, bravissimo, ha dovuto lasciarci all’improvviso per andare a lavorare all’estero e la classe è stata divisa. Di solito, alla scuola del Teatro Bolscioi, il maestro segue i propri allievi per tutti gli anni di formazione ecco perché ciascun allievo ha l’impronta del suo insegnante.
Dopo la carriera di ballerino è diventato maître de ballet, com’è nata l’idea?
Ho ballato al Teatro Bolscioi la metà del mio percorso, ho sposato una ragazza italiana che aveva studiato con me in teatro e ci siamo trasferiti in Italia. Al Teatro alla Scala, dove ho cominciato a lavorare, ho incontrato Rudolf Nureyev che mi ha subito voluto bene, mi ha fatto interpretare i suoi balletti, mi ha voluto nel suo gruppo Nureyev and friends e abbiamo lavorato tanto insieme. Mi ha cambiato la vita, porto ancora la sua impronta…quando Rudolf è morto sono stato chiamato da Pierre Lacotte al Ballet de Nancy.
Quali sono le caratteristiche della tecnica russa e perché, secondo lei, è così forte?
La risposta è molto semplice: fin da piccoli gli allievi vengono seguiti da un unico maestro. Per un ballerino è indispensabile avere sempre accanto il proprio insegnante. Dovrebbe essere la persona di cui ti fidi di più, anche se sei arrivato ai massimi livelli ci vuole sempre un terzo occhio che ti segue. Tutti i grandi ballerini hanno il loro maestro personale che li segue, li consiglia, cura il più piccolo dettaglio, mantiene la tradizione dello stile. L’insegnante è un muro di sostegno dietro ogni ballerino russo, c’è molta serietà, tanta disciplina. In Russia c’è posto per i ballerini e per i maestri, in Italia non è così… si lavora con gli insegnanti che capitano e si rischia di essere anche poco credibili, perché ognuno dice la sua. Quando c’è confusione nella testa, manca la qualità.
C’è una differenza tra lo stile dei ballerini di Mosca e quelli di San Pietroburgo?
Si, nella precisione. A Mosca sono più espressivi, più impulsivi, a San Pietroburgo sono più quadrati, controllati, non è permesso alcuno sfogo espressivo. Per quanto riguarda la scuola non c’è nessuna differenza, i maestri vengono tutti dall’Accademia Vaganova, solo che insegnano in città diverse.
Che cosa guarda in un danzatore: la tecnica, la musicalità, la bellezza, l’armonia, l’anima?
L’armonia. La tecnica è la base ma senza anima non vale un granché…preferisco un ballerino che mi trasmette delle emozioni.
Che cos’è il talento?
Avere tutti gli elementi. Ma è molto raro. Il nostro mestiere è sintetico, se manca qualcosa diventa subito ginnastica, una gara di giri o di salti.
E l’umiltà?
È una cosa fondamentale, bisogna essere umili e onesti in ciò che si fa, e soprattutto avere sempre un dubbio. Sono molto riservato, chiuso, da piccolo avevo sempre il timore di aprirmi forse per la paura di essere ferito dalla reazione degli altri, dalle critiche. I ragazzi di oggi, quando incontrano una persona autorevole, professionale, dimostrano la loro umiltà ma se non si fidano…
Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?
Il teatro con la sua magia mi è indispensabile, soprattutto un teatro come il San Carlo, che ha saputo mantenere la sua forma, intoccabile. Del Bolscioi (che non considero più il ‘mio’ teatro) e della Scala, dopo i lavori di ristrutturazione, sono rimasti solo i nomi…prima erano un tempio…le generazioni di artisti che sono passati hanno lasciato una traccia che ora non si ritrova più, un ospedale? una fabbrica? Non si sa…hanno perso la magia…prima che ritorni ne passerà del tempo. Non mi piacciono i film sulla danza tipo Black Swan, sono falsati e danno un’immagine completamente diversa dalla realtà. Non sopporto chi commercializza la danza.
Mi dice tre aggettivi che la descrivono?
Onesto, affidabile, qualcuno dice che sono anche simpatico…
Che cosa la emoziona nella danza?
La musica, la scenografia, l’attesa prima che si apra il sipario, l’ouverture quando non ci sono ancora i ballerini, poi può succedere di tutto.
Le è mai capitato di avere paura?
Sempre. Quando ballavo avevo timore di entrare in scena, ma appena cominciavo a danzare spariva.
Lirico, brillante, virtuoso, che tipo di ballerino è stato?
Romantico. Ho ballato tanto Giselle ma il mio ruolo preferito è quello di Sigfried ne Il lago dei cigni.
Qual è la cosa più difficile da insegnare?
Il senso della danza, il significato di un gesto. Oggi gli artisti provengono da diverse scuole, a volte manca la professionalità, c’è un vuoto nella teoria. Eseguono i movimenti ma nel verso sbagliato e poi saranno costretti a lavorare il doppio. Chi ha freddo può mettersi qualcosa di caldo addosso… la lezione non serve a riscaldarsi ma a costruire qualcosa che poi ti servirà durante le prove e in scena. Bisogna avere molta pazienza per convincere tutti.
C’è una cosa che proprio non può mancare ad un ballerino?
La musicalità.
Che cosa è cambiato nel mondo della danza tra ieri e oggi?
La situazione non è tragica dappertutto, da qualche parte si trovano nuove forme, nuovi movimenti, parlo in generale non solo per la danza classica. Ci sono coreografi di talento e compagnie che hanno idee giuste, mancano un po’ i punti di riferimento per i ballerini che non sanno chi seguire, sono disorientati. Quando io ero giovane i miei idoli li potevo contare sulle dita di una mano, lavoravo vicino a loro ed avevo una grande spinta ad andare avanti, tanta energia. Chi sono i punti di riferimento per i ballerini di oggi? Chi fa più giri? Sono molto convinto di quello che faccio, posso sostenere qualunque confronto, posso argomentare ogni cosa che faccio, ogni mia scelta. Questa è la mia religione.
Ce l’ha un sogno da realizzare?
Si, ma non è legato alla danza.
È soddisfatto del suo percorso artistico?
Sono molto molto fortunato, non mi posso lamentare, è per questo che i miei sogni non sono legati alla danza…
Che cos’è la danza per lei?
Una possibilità per comunicare. I sentimenti che nella vita quotidiana l’uomo tenta di trattenere dentro di sé, di non mostrare, può esprimerli sul palcoscenico, ballando.
Elisabetta Testa
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